La superstizione nel baseball

In Aloni, stregoni e superstizioni, ho raccontato, fra l’altro, dell’importanza delle superstizioni nella vita quotidiana e di come esse assolvano varie funzioni psicologiche e sociali.

Le superstizioni sono ovviamente diffuse anche in tanti sport di squadra, come nel baseball. Lo testimonia un brano di un celebre romanzo dello scrittore americano E. L. Doctorow, Ragtime (2015, Mondadori, Milano), in cui viene descritto ciò che accade nel corso di un incontro tra la squadra di Boston e i Giants di New York.

Dalla parte dei Boston, il ragazzo che raccoglieva le mazze e le riportava alle panchine era, a una più attenta osservazione, un nano, anche lui con l’uniforme della squadra, ma in proporzioni ridotte. Emetteva le sue grida e le sue invettive con voce da soprano. La maggior parte dei giocatori prima della battuta lo toccava sulla testa, un gesto ch’egli sembrava incoraggiare, cosicché Papà si rese conto che era una sorta di rituale scaramanzia. Dalla parte dei Giants non c’era nessun nano, ma uno strano individuo ossuto, la cui uniforme gli pendeva addosso come su un attaccapanni; era fortemente strabico e sembrava imitare il gioco in una sorta di trasognata pantomima, battendo palle immaginarie più o meno all’unisono con le battute vere. Aveva l’aria di un mentecatto. Roteava il braccio come le pale di un mulino a vento. Papà cominciò a spostare la sua attenzione su questo disgraziato personaggio, evidentemente una sorta di portafortuna della squadra, come il nano per i Boston. Durante ì momenti stanchi della partita il pubblico lo apostrofava a gran voce e applaudiva alle sue buffonate. Effettivamente nel programma era indicato come la mascotte della squadra. Il suo nome era Charles Victor Faust. Era chiaramente un povero minorato che s’immaginava di essere anche lui uno dei giocatori, ed era tenuto in squadra per loro divertimento (pp. 188-189).

In questo episodio, la superstizione investe alcuni componenti delle due squadre, ritenuti, a causa della loro diversità fisica e mentale, “portatori” di fortuna. Del resto, toccare la gobba per chiamare a sé la buona sorte è un comportamento diffuso anche nella cultura europea. Doctorow mostra, tuttavia, che lo status di portafortuna non è eterno e può sempre essere revocato.

Non sarà privo d’interesse ricordare che questo povero diavolo, Charles Victor Faust, fu effettivamente fatto giocare in squadra, in una partita verso la fine di quella stessa stagione, quando ormai i Giants avevano vinto lo scudetto e non avevano più da preoccuparsi. Per un momento la sua illusione di essere un grande giocatore di una squadra d’importanza nazionale divenne realtà. Subito dopo, però, venne a noia ai giocatori e l’allenatore McGraw non lo considerò più una mascotte. L’uniforme gli venne confiscata e fu buttato fuori senza tante cerimonie. Venne internato in un manicomio, dove morì pochi mesi dopo (p. 190).

La vicenda di Charles Victor Faust mostra come la medesima disabilità può ricevere attribuzioni tanto positive quanto negative, secondo le circostanze e la mutevolezza delle opinioni. Un ritardo mentale o un’alterazione fisica possono essere ritenute misure apotropaiche in un caso, e situazioni di cui sbarazzarsi, quando sopravviene la noia, in un altro.

E così il destino dei disabili rimane in balia delle alterne convinzioni umane, sempre disposte, comunque, a marginalizzare l’altro, quando questi esibisce forme fisiche o mentali distinte da quelle dei più.

Per un approfondito esame del ruolo delle superstizioni nella vita quotidiana, rimando ovviamente al mio Aloni, stregoni e superstizioni.

Questa voce è stata pubblicata in Disabilità, Sociologia, sport e contrassegnata con , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.