La superstizione del Kirichoco

Afferma l’etologo Desmond Morris, ne La tribù del calcio (2016, Rizzoli, Milano):

Svolgendo un lavoro ad alto rischio, molti degli eroi tribali [i calciatori] sono decisamente superstiziosi; ogni volta che mettono piede sul campo di gioco affrontano il pericolo di infortunarsi e la potenziale umiliazione di venire sconfitti dai loro avversari. La fortuna è fondamentale, sul campo: un pallone può rimbalzare male, possono sbagliare un gol scivolando sull’erba bagnata, o prenderne uno perché il pallone viene deviato da una zolla e carambola per caso sul piede di un attaccante avversario.

Infortuni, umiliazioni, scivoloni, palloni sfortunati: tutti pensieri che attraversano la mente dei giocatori ogni volta che si preparano a una partita. Sanno che non c’è allenamento, preparazione, abilità o forma fisica che possa proteggerli da questi rischi, e sanno che quando la sfortuna se la prenderà con loro, lo farà sotto gli occhi di migliaia di spettatori giudicanti. La loro è un’ordalia pubblica, e non c’è via di scampo, non c’è modo di nascondere un errore.

È per questo motivo, probabilmente, che la “leggenda del Kirichoco”, raccontata da Giorgio Castiglioni in un articolo apparso su Query online, prende il lettore. “Kirichoco” è la parola pronunciata dal capitano della Nazionale italiana Giorgio Chiellini al calciatore inglese Saka al momento di calciare il rigore decisivo per la sua squadra durante la finale degli ultimi Europei di calcio. Come è noto, Saka fallì il suo tiro, consegnando la vittoria all’Italia. La medesima parola sembra, però, secondo il racconto di Castiglioni, aver condizionato negativamente altri calciatori (anche famosi), come l’olandese Arjen Robben e il norvegese Erling Haaland.

Una parola che porta sfortuna? In realtà, a ben leggere l’articolo di Castiglioni appare evidente che non sempre la parola “funziona”. I casi di “successo” sono pari a quelli di “insuccesso” e ciò che incuriosisce, semmai, è l’origine, ancora un po’ misteriosa, del termine.

Lasciando a Castiglioni il racconto di questa circostanza, è interessante notare due cose:

1) il calcio, come ogni situazione stressogena, favorisce la diffusione di ogni genere di superstizioni. Il libro di Morris citato in apertura è, al riguardo, una miniera di informazioni. Queste superstizioni rappresentano un modo di far fronte cognitivamente alle incertezze della vita e, sebbene sia facile irridere chi vi cede, esse sono almeno comprensibili da un punto di vista umano, soprattutto in determinate situazioni. Questo, naturalmente, non è un invito a essere superstiziosi, ma semplicemente a comprendere perché si possa essere tali. Non è un caso che attori, studenti, malati e sportivi – tutti alle prese con situazioni altamente stressanti per definizione – siano piuttosto inclini a simili condotte irrazionali;

2) la seconda notazione riguarda il fatto che, spesso, determinati comportamenti superstiziosi sono ritenuti sicuramente efficaci, come dimostra la pervicacia di chi si impegna a metterli in atto. In realtà, un po’ come nel caso delle previsioni di maghi e sensitivi, i racconti su di essi riportano solo i (pochi e incredibili) “successi” a scapito dei (tanti, banali) “fallimenti”, dando l’illusione che la superstizione funzioni! Così il calciatore che si obbliga a entrare in campo sempre per ultimo rispetto ai compagni citerà tutte le volte in cui la sua squadra ha vinto per questo motivo, “dimenticando” tutte le volte in cui non ha vinto. Allo stesso modo, chi crede che il termine Kirichoco porti sfortuna, citerà solo i casi in cui ciò si è dimostrato vero, tralasciando i casi opposti. Si tratta di un tipico esempio di memoria selettiva, uno dei pilastri su cui si regge il pensiero magico.

Per chi volesse conoscere questo e altri meccanismi mentali o semplicemente saperne di più su calcio e superstizioni, rimando al mio Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso (Meltemi Editore, Milano, 2020), dedicato ai “misteri” psicologici del calcio.

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