Potrà sorprendere qualcuno, ma i più feroci avversari del rosario si trovano non tra atei inveterati e blasfemi miscredenti, ma tra gli stessi religiosi, sia cattolici sia di altre confessioni cristiane e religioni.
Un posto di primo piano, al riguardo, spetta ai protestanti. Martin Lutero, ad esempio, considerava il rosario una preghiera monotona e ripetitiva in totale contrasto con il celebre versetto evangelico in cui Gesù dice: “Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole” (Matteo 6,7).
Lutero avversava il rosario anche per un’altra ragione: se questa preghiera diventava un’opera praticata per guadagnarsi la salvezza, essa era del tutto inutile e dannosa, come tutte le opere. Per il riformatore tedesco, è la fede a salvare, infatti, non le opere.
Infine, un ulteriore motivo di attrito era dato dalla stretta associazione del rosario con la vendita delle indulgenze, che trasformava questo in una preghiera superstiziosa e offensiva verso Cristo e la Chiesa cattolica in una squallida agenzia di compravendita.
Tra i protestanti italiani che hanno espresso parole di fuoco contro il rosario è opportuno ricordare Pier Paolo Vergerio, considerato l’alfiere dell’evangelismo italiano.
Vergerio nacque nel 1498 a Capodistria (Istria), allora territorio della Repubblica di Venezia. Come quasi tutti i suoi fratelli, si dedicò alla carriera ecclesiastica, giungendo rapidamente ai vertici tanto da ottenere, nel 1536, il vescovato della sua città natale.
Quella che sembrava una folgorante carriera ecclesiastica subì una brusca interruzione quando, nel 1544, fu presentata all’Inquisizione veneziana una denuncia per eresia ai suoi danni. La denuncia aveva un suo fondamento in quanto Vergerio aveva cominciato a frequentare ambienti non ortodossi da un punto di vista religioso. In seguito, nel 1549, fu costretto a lasciare l’Italia per non farvi più ritorno.
Per sua fortuna. Il religioso capodistriano fu, infatti, condannato per eresia su 34 punti, deposto dalla sua dignità episcopale e reso passibile di arresto se si fosse ripresentato in Italia. Da allora, Vergerio si fece promotore di una serie di iniziative polemiche contro il papato e cominciò a dare alle stampe alcuni dei suoi pamphlet più importanti.
Morì a Tübingen, il 4 ottobre 1565.
Vergerio fu tra gli autori più prolifici della cosiddetta “Riforma italiana” e fu autore di numerose pubblicazioni, spesso di taglio polemico. Le sue opere annoverano: accusationi, lettere, discorsi, comparationi, confutationi, orationi, difensioni, retrattationi, risposte, trattatelli e così via.
Tra i suoi interventi polemici contro il devozionismo religioso, oltre a un famoso sermone contro le immagini sacre, troviamo un pamphlet contro il rosario, intitolato A quegli Venerabili Padri Dominicani, che difendono il Rosario per cosa buona (1550). Di questo è opportuno dire qualcosa.
Perché Vergerio avversa il rosario?
Bersaglio della sua invettiva sono soprattutto i domenicani, gli appartenenti all’ordo praedicatorum, da lui definito “disordine” «favorito hoggidì nel Regno Papesco, più che quegli de tutti gli altri fratti».
Per Vergerio i domenicani «per ambitione, per avaritia, per conservarvi le commodità del ventre», difendono ogni sorta di bugia e sono «impiissimi nemici et persecutori della pura dottrina che Giesù Christo insegnò, et gli santi Apostoli insegnarono, et palesi et impudenti difensori delle hipocrisie, delle idolatrie et delle false dottrine».
Tra i numerosi «culti falsi et dottrine false, vergognose et indefensibilissime» professate dai domenicani, Vergerio annovera il rosario. Demerito di quest’ultimo è quello di essere una preghiera del tutto contraria a quel «modo di orare, puro et semplice» insegnato da Cristo nei Vangeli. Quest’ultimo – come fa notare anche Lutero in riferimento a Matteo 6, 7 – «specialmente riprese la longhezza et il multiloquio, et volle che si dovesse haver l’animo attento alle dimande che in quella sua divina oratione sono et promesse di essaudire cui havesse pregato il Padre in nome di esso Figliuolo».
La più grande menzogna è costituita dalla “pia leggenda” secondo cui la Madonna avrebbe consegnato direttamente a san Domenico il rosario nel corso di un’apparizione spettacolare. La leggenda racconta che
Dominico predicava in Tolossa et vedendo di non poter far tutto, si lamentava con la Vergine Maria, et che ella li disse: «Predica il mio Rosario, cioè insegna che si habbiano a dire centocinquanta Ave Marie et quindeci Pater Nostri, tenendo la mente et il pensiero ad altro intento che alle parole della oratione da Christo insegnata et farai tutto», et […] fra Dominico si puose a predicare quel Rosario et fece tutto grandissimo.
Perché «questa per prima è una favola, è un inganno, una dottrina o moneta falsa»? Perché se la predicazione del rosario fosse cosa davvero buona e utile, afferma Vergerio, la Madonna non avrebbe tardato «per lo spacio di MCCL anni, a far intendere quel così eccellente modo […] di poter far frutto».
Altro mistero. Perché dopo la morte di Domenico di Guzman, una devozione così divina fu «intermessa et dimenticata» fino a 200 anni dopo, quando di nuovo la Madonna incaricò il frate bretone Alano della Rupe di riformare il mondo tramite il rosario «et comandò a colui che in honore di lei lo andasse predicando nel modo che fra Domenico fatto haveva»? Tutto questo appare a Vergerio come una “favolazza” «nella quale voi fate l’humilissima ancilla di Christo così ambitiosa et superba che ella vogli le laudi per sé, e così impia che vogli mutare et alterare la dottrina di suo Figliuolo et riformare ella il mondo con nuovi et superstitiosi modi».
Vergerio condanna, fra l’altro, il modo in cui Alano della Rupe – da molti ritenuto oggi il vero “inventore” del rosario domenicano – descrive il suo rapporto con la madre di Gesù, giudicandolo turpe e osceno. Alano, infatti, dice che la Madonna «salutando[lo], et con la sua santissima mano fatto un anello degli propri capelli quello sposò, et detegli un bascio vergineo». E ancora: «La Sacra Vergine lo sposò per suo sposo devoto, et dateli a lattare il suo sacro latte dalle sue sacratissime mammelle, et il bascio vergineo li concesse, et li fu familiare come la sposa al sposo». In effetti, sembra di poter commentare con Vergerio: «Vi paiono queste cose da scrivere della Santissima Vergine, et da dare a leggere a popoli?».
Da buon protestante Vergerio biasima anche l’idea che la recita del rosario possa servire per la salvezza delle anime dei defunti, soprattutto se i nomi dei defunti sono iscritti negli elenchi delle cosiddette confraternite del rosario, che, all’epoca di Vergerio, avevano cominciato a sorgere numerose:
Et quando li prieghi de’ viventi potessero giovare a’ morti (ché non possono, dite quel che volete) che gofferia è questa, che bisogna scrivere i nomi loro nelle confraternità se debbono giovare, dove l’avete trovata o sognata? Ma il bello è che poco dopo si dice che fa mestiero che que’ nomi siano scritti a mano di uno de vostri frati, et che ogn’uno che è così scritto partecipa de’ tutti li beni, li quali fanno tutti i fratelli della compagnia del Rosario, et che partecipare non possono co’ loro, li nomi de’ quali non sono con que’ modi scritti.
Vergerio trova scandalosa la consuetudine di acquistare le corde «de Paternostri et d’Avemarie» (come si chiamavano allora i rosari), per farle benedire dai frati domenicani sull’altare. Il suo commento:
Dove havete voi trovato, che nel Christianesmo se habbiano a fare queste bagatelle, di metter tanto numero de legnetti infilzati in una corda sopra l’altare, et fare che un frate con una stola al collo si metta a scongiurarli et incantarli, et dire quelle inettie et impietà, che egli prega Dio che in que’ legni infonda la virtù dello Spirito Santo? O vergogna! Et anchora non vi muoverete a far stracciare et abbruggiare queste gofferie?
Altrettanto riprovevole è l’uso del rosario in funzione apotropaica, quasi fosse un amuleto magico, nella convinzione che: «Chi porterà addosso, o tenerà quelle baie in casa, sarà difeso dalle aversità in questo mondo, et nell’altro harrà il paradiso».
Molto luterana è la condanna dell’associazione alla recita del rosario delle «grandissime indulgentie, le quali […] conseguiscono coloro che su que’ legni da voi scongiurati fanno oratione».
Assolutamente da condannare, poi, l’invenzione dei tanti miracoli attribuiti alla recita del rosario. Vergerio cita i miracoli dell’adultero “rinsavito” dopo che la moglie, su suggerimento di san Domenico, ebbe infilato «la corda delle Avemarie sotto il capezzale dove dormiva il marito»; del cavaliere che uccise tutti i suoi nemici grazie all’intervento della Madonna sollecitata dalla preghiera del rosario; della «giovane alla quale un lupo mangiò tutte le interiora et senza di esse visse tre giorni et hebbe questa gratia perciocché ella diceva il rosario».
Si tratta, afferma il capodistriano, solo di «favole, anzi incantamenti et diavolerie» insegnate impropriamente al popolo al posto del Vangelo; artifizi per distrarre i credenti «semplici et idioti» dalla portata universale del messaggio di Cristo e indottrinare i fedeli in modo non conforme all’insegnamento di Gesù; «ribalderie» per i semplici dietro le quali si scorgono «l’empietà, gl’inganni de’ papisti… gli errori e le idolatrie del regno dell’Antichristo».
L’argomento principe dell’invettiva vergeriana si trova a conclusione del pamphlet, quando l’ex vescovo osserva:
voi dite queste parole: «Imperocché senza lo aiutorio di Maria Vergine non si può pervenire alla salute». Chi vi pare di questa conclusione? Con la quale loica vi bastarebbe l’animo di poterla provare? O improdentissimi falsarii della vera dottrina di Christo! Adunque egli con tutto il suo sangue sparso, et con tutta la sua acerbissima morte, non ne può salvare, se noi non andiamo alla Madonna che ci salvi essa? Voi mentite, se volete ciò affermarre, et ingannate et assassinate le anime delle genti.
In altre parole, è blasfemo anteporre la Madonna al Cristo come strumento di salvezza, dimenticando tutto il sangue versato da Gesù per l’umanità intera.
In conclusione, per Vergerio, il rosario è una preghiera contraria all’insegnamento di Cristo; che si regge su una leggenda assurda e priva di fondamento; induce un atteggiamento superstizioso, che porta ad associare a una stringa di oggetti poteri miracolosi e apotropaici, oltre che innumerevoli quanto inutili indulgenze (altra biasimevole invenzione della Chiesa cattolica). Il rosario rafforza la credenza in un inesistente purgatorio, ma, soprattutto, blasfemia delle blasfemie, rende la madre di Gesù più importante di Cristo stesso. Costituisce, infine, un esercizio di abuso della credulità popolare, attraverso cui il “disordine” domenicano spaccia al popolino ogni sorta di fole per persuaderlo a conformarsi alle credenze da esso sostenute.
Una condanna radicale, dunque, della più celebre devozione popolare cristiana ancora oggi esistente, proveniente da un cristiano, seppure non cattolico. In questo atteggiamento di disapprovazione, Pier Paolo Vergerio non era solo tra i protestanti. Sempre in Italia, possiamo ricordare la figura più recente di Tito Signorelli (1875-1958), autore de Il Rosario. Studio storico-critico (1932), testo ormai introvabile, ma decisamente interessante al riguardo.
Le opere di Vergerio e di Signorelli non sono certamente capolavori della letteratura religiosa. La loro “minorità” è accresciuta dal fatto che sono strali velenosi lanciati contro la più importante devozione extraliturgica concepita dalla Chiesa di Roma. Sono, però, testimonianze importanti di un modo diverso di vedere un oggetto apparentemente umile e dimesso come il rosario, che vanta ancora oggi un’importanza straordinaria per milioni di credenti cattolici nel mondo.
Fonte: A quegli Venerabili Padri Dominicani, che difendono il Rosario per cosa buona (1550) in Vozza, V. (a cura di), 2019, Antologia vergeriana. Scritti minori del “vescovo di Cristo”, Aracne Editrice, Ariccia (RM), pp. 49-89.
A chi volesse saperne di più sugli intricati significati del Rosario, raccomando il mio libro La sacra corona. Storia, sociologia e psicologia del rosario (Meltemi, 2024).