Perché la Bibbia proibisce i tatuaggi?

Oggigiorno, i tatuaggi sono diffusi in ampi strati della popolazione, soprattutto tra i giovani e le giovani. Il tatuaggio è universalmente riconosciuto come una forma di espressione avente significato comunicativo, estetico, narrativo, biografico ecc. Per molti, è una modalità di incidere sul proprio corpo messaggi destinati all’eternità, di raccontare qualcosa di noi in maniera imperitura, di distinguersi dalla massa (anche se il tatuaggio è già un fenomeno di massa). Eppure, non molto tempo fa, i tatuaggi erano appannaggio di detenuti, marinai e altre categorie marginali: un vero e proprio contrassegno di condotta deviante e, in quanto tale, vituperato dai benpensanti.

L’atteggiamento negativo nei confronti dei tatuaggi deve molto anche all’interdetto contenuto in Levitico 19, 28, “Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni. Io sono il Signore”.

Perché Levitico proibiva i tatuaggi? La risposta è nel versetto appena citato. Marchiare la propria pelle in segno di lutto significava legarsi a un determinato culto dei morti giudicato contrario alla fede nel Dio d’Israele.

Si ritiene, inoltre che i tatuaggi potessero essere associati a pratiche magiche e superstiziose, a contenuti eversivi ed esoterici. Secondo altri esegeti, il tabù riguardava esclusivamente i tatuaggi eseguiti con le ceneri dei familiari trapassati.

A parere di John Huehnergard e Harold Liebowitz, invece, la spiegazione della proibizione dei tatuaggi potrebbe avere un’origine diversa. Nell’antica Mesopotamia, infatti, la pelle degli schiavi veniva spesso marchiata. I prigionieri degli egizi, ad esempio, erano segnati con il nome di un dio e caratterizzati, così, come oggetti appartenenti al sacerdote o al faraone.

Per questo motivo, considerato il ruolo centrale della fuga dalla schiavitù in Egitto nell’antico diritto ebraico, la Torah mise al bando i tatuaggi in quanto “simboli di servitù”. Comunque, un altro passaggio – Isaia 44, 5 “Questi dirà: Io appartengo al Signore, quegli si chiamerà Giacobbe; altri scriverà sulla mano: Del Signore, e verrà designato con il nome di Israele” – sembra consentire il tatuaggio come segno di sottomissione al Signore. È probabile, dunque, che il tatuaggio fosse permesso quando non era simbolo di schiavitù o di idolatria pagana.

Qualunque sia la spiegazione – è probabile che ce ne sia più di una in relazione a tempi e luoghi diversi – una cosa è certa: il tabù del tatuaggio ha a che fare con situazioni storiche e contingenti precise per cui non è possibile estenderlo a proibizione universale, come fanno alcuni sacerdoti contemporanei.

A ben pensarci, gli stessi Dieci Comandamenti, oggi assunti a leggi universali, valide al di là di tempi e luoghi, scaturiscono da situazioni storiche e contingenti.

È questa una delle curiose forme evolutive dei principi morali: nati in contesti determinati e circoscritti, sopravvivono come norme generalizzate fino a che non sono più avvertiti come specifici di un popolo, ma diventano validi per ogni popolo e ogni tempo.

Fonte:

John Huehnergard e Harold Liebowitz, 2013, “The Biblical Prohibition Against Tattooing”, Vetus Testamentum, vol. 63, Fasc. 1, pp. 59-77.

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