Come si giudica secondo Adam Smith

Afferma Adam Smith nella sua Teoria dei sentimenti morali:

Ogni facoltà in un uomo è il metro per giudicare la stessa facoltà in un altro uomo. Giudico la tua vista attraverso la mia vista, il tuo udito attraverso il mio udito, la tua ragione attraverso la mia ragione, il tuo risentimento attraverso il mio risentimento, il tuo amore attraverso il mio amore. Non ho, né posso avere, alcun altro modo per giudicarle (Adam Smith, 1995, Teoria dei sentimenti morali, BUR, Milano, p. 98).

Sottovalutiamo spesso la circostanza che i nostri giudizi sono prospettici, che derivano dal fatto di collocare noi stessi come punto di riferimento di ogni cosa. Così, diciamo: “Fa freddo”, quando in realtà dovremmo dire: “Ho freddo”. Diciamo: “Quel film è meraviglioso”, quando in realtà dovremmo dire: “Per me quel film è meraviglioso”. Diciamo: “Ti stai rovinando la vita”, quando in realtà dovremmo dire: “Per me, ti stai rovinando la vita”. Apprezziamo un comportamento perché sappiamo che non ne saremmo all’altezza; lo disprezziamo perché crediamo che sia ampiamente alla nostra portata.

Finiamo, dunque, per assolutizzare i nostri giudizi, spersonalizzandoli ed eliminando la loro origine prospettica. Un meccanismo che altrove ho definito “conversione nell’oggettivo”. Secondo Smith, ciò è inevitabile: gli esseri umani non possono che comportarsi in questo modo. Non riescono a evitare di essere “egocentrici”, ossia di mettere sé stessi al centro del mondo e di valutare gli altri a partire da questo centro.

E allora l’altruismo? L’altruismo non ha nulla a che fare con l’egocentrismo, ma con l’egoismo. Come raccontavo in un post precedente, egocentrismo non significa egoismo. Il primo pertiene alla sfera biopsicologica; il secondo a quella morale. Possiamo, dunque, condurci in maniera perfettamente altruistica, pur continuando inevitabilmente a essere egocentrici.

L’egocentrismo è inevitabile; l’egoismo no.

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