Gli equivoci della Sindrome dell’accento straniero

Alcune patologie esercitano sull’osservatore esterno un fascino almeno pari all’imbarazzo che esse suscitano in chi ne è affetto. Ne è un esempio la Sindrome dell’accento straniero o FAS (Foreign Accent Syndrome), una condizione alquanto rara – dal 1907, anno del suo battesimo, ad oggi, si contano appena 200 casi circa – che induce chi ne soffre a parlare la sua lingua con un accento percepito come straniero.

Il padre putativo di questa strana patologia è il francese Pierre Marie, autore, nel 1907, di un articolo intitolato “Présentation de malades atteints d’anarthrie par lésion de l’hémisphère gauche du cerveau” (Bull. Mem. Soc. Med. Hop. Paris 1, 158–160). Chi è colpito dalla FAS, di solito a seguito di un ictus, un problema neurologico o un tumore, presenta difficoltà di pronuncia delle parole di cui è ben consapevole e che al non esperto sembrano ricalcare un accento straniero.

Si cita così il caso del parigino che, dopo un ictus, cominciò a parlare con un accento strasburghese; di un abruzzese che, dopo un infarto cerebrale, prese a parlare con un accento tedesco; dell’americano che, in seguito al trattamento per un tumore, sviluppò un accento irlandese.

Nella maggior parte dei casi, il nuovo accento rappresenta solo una variante geografica della lingua già parlata dal soggetto (ad esempio, una variante dell’inglese o dell’americano). Raramente, si tratta dell’accento di una lingua mai parlata o sconosciuta. Ma è a proposito di quest’ultimo caso che si è creata una sorta di mitologia sulla Foreign Accent Syndrome.

In molte versioni pop di questa condizione, si dà a intendere che la persona riesca improvvisamente a parlare perfettamente con un accento straniero, se non addirittura a esprimersi in una lingua mai parlata in precedenza. Secondo queste interpretazioni, la FAS presenterebbe, dunque, sovrapposizioni con la xenoglossia, quasi che il soggetto entrasse in una sorta di trance neurale che consente di produrre parole in una o più lingue a lui sconosciute in condizioni normali.

In realtà, non accade niente del genere. È l’osservatore esterno, spesso a digiuno di conoscenze relative ad altre lingue, ad interpretare un accento spostato come un accento straniero o ad attribuire al soggetto FAS competenze linguistiche che non possiede. Da un punto di vista clinico, non si conosce un solo paziente che abbia migliorato le proprie conoscenze linguistiche dopo una lesione al cervello. Chi è affetto da FAS non parla improvvisamente e magicamente con un impeccabile accento straniero; spesso si limita a spostare gli accenti delle parole generando nell’interlocutore una sensazione di straniamento che a sua volta favorisce un disguido linguistico.

Le produzioni linguistiche dei soggetti affetti da Sindrome dell’accento straniero sono, quindi, l’esito di un equivoco non dissimile da quello che coinvolge chi viene preso per straniero solo perché parla la sua lingua con accento diverso da quello del suo interlocutore. In altri casi, l’ignoranza dell’interlocutore induce ad attribuzioni errate ancora più clamorose. È noto a tutti, ad esempio, che chi non parla nessuna lingua straniera può confondere una lingua con un’altra o un accento con un altro, generando ulteriori equivoci da cui possono scaturire conseguenze comiche o deleterie. Oppure, può ritenere che chi è in grado di mettere insieme poche parole di una lingua straniera abbia una buona, o addirittura ottima, conoscenza di quella lingua.

Di equivoci del genere è zeppa la vita quotidiana. Ciò su cui spesso non riflettiamo è che le nostre incompetenze linguistiche possono favorire anche interpretazioni scorrette di patologie, come mostra l’esempio “affascinante” della Sindrome dell’accento straniero.

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