“Uccideteli tutti. Il Signore conosce infatti quelli che sono suoi”

Il 22 luglio 1209, la città di Béziers fu saccheggiata e i suoi abitanti trucidati. Fu la prima tappa della cosiddetta crociata contro gli albigesi, un movimento ereticale diffuso in diverse zone d’Europa, tra cui la Linguadoca in Francia, a cui la Chiesa cattolica diede guerra spietata, anticipando i misfatti dell’Inquisizione.

Sul massacro di Béziers si diffusero presto una serie di notizie false. Ad esempio, alcune fonti riferirono che i morti durante il saccheggio furono 60.000. All’epoca Béziers aveva circa 15.000 abitanti ed è legittimo supporre che i morti siano stati in realtà cinque o seimila, compresi i combattenti crociati. I numeri gonfiati servirono a certe narrazioni sia per enfatizzare la potenza dello schieramento crociato sia per sottolinearne la crudeltà.

Al massacro di Béziers è associato anche uno degli episodi più celebri della crociata contro i catari, così narrato dal monaco cistercense Cesario di Heisterbach:

Quando scoprirono, dalle ammissioni di alcuni di loro, che c’erano cattolici mescolati con gli eretici, dissero all’abate [Arnaldo Amauri, legato del papa Innocenzo III, da cui ricevette l’incarico di reprimere l’eresia catara]: «Signore, cosa dobbiamo fare, poiché non possiamo distinguere tra i fedeli e gli eretici?». L’abate, come gli altri, temeva che molti, per paura della morte, si spacciassero per cattolici e, dopo la loro partenza, tornassero alla loro eresia, e si dice che abbia risposto «Caedite eos. Novit enim Dominus qui sunt eius», «Uccideteli tutti. Il Signore conosce infatti quelli che sono suoi» (frase che riprende 2 Tim 2. 19) e così innumerevoli in quella città furono uccisi.

Quanta verosimiglianza c’è in questo celebre episodio? Stando agli storici, è improbabile che ciò sia avvenuto davvero. Come spiega Ernest Fornairon:

Non solo è assolutamente inverosimile, infatti, che dei soldatacci, ai quali era stata data la consegna di non concedere quartiere al nemico, abbiano avuto lo scrupolo e la delicatezza d’animo di voler distinguere tra colpevoli ed innocenti; ma è stato inoltre stabilito, senz’ombra di dubbio, che il legato pontificio durante i combattimenti si teneva sempre lontano dalla mischia, restandosene appartato assieme a tutti gli altri dignitari della Chiesa. A maggior ragione, quindi, egli dovette comportarsi in tal modo quel tragico 22 luglio del 1209, per non correre il rischio di venirsi a trovar mischiato con la masnada degli sgozzatori, formata quasi unicamente dalla feccia delle forze crociate. L’immaginazione spinta all’eccesso costituisce talvolta una qualità essenziale del romanziere, ma lo storico deve guardarsene nel modo più assoluto (Fornairon, E., 2012, Lo sterminio dei catari. 1207-1244: il mistero di una crociata nel sud della Francia, PGreco, Milano, p. 142).

Bisogna, inoltre, considerare che la frase dell’abate è citata solo da pochi storiografi e non nelle cronache di autori locali; fatto che corrobora ulteriormente l’idea che essa non abbia alcun fondamento storico.

È probabile che questa storia sia sopravvissuta fino ad oggi più per meriti “estetici” che per la sua natura fattuale. Si tratta, in altre parole, di una narrazione ad hoc, “troppo bella per non essere vera”. Tuttavia, come confermerebbe qualsiasi storico contemporaneo, la verità storica non corrisponde necessariamente alla sua appropriatezza estetica. “Bello” non significa “vero”, nella storia come nella vita. Anche se spesso abbiamo l’irresistibile tentazione di crederlo.

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