Pavlov, Diderot e la religione come riflesso condizionato

A chi studi la religione non sarà sfuggito il carattere pavloviano di molte sue manifestazioni.

Ricordiamo che con condizionamento pavloviano o classico, si intende una forma di apprendimento in cui il comportamento (risposta condizionata) è prodotto da uno stimolo (stimolo condizionato) che ha acquisito forza dall’associazione con uno stimolo biologicamente significativo (stimolo incondizionato).

È il caso classico del cane che prende a salivare sentendo una campanella perché ha appreso che ogni volta che sente una campanella gli viene portato del cibo. Questa forma di condizionamento spiega tanti eventi apparentemente misteriosi come, ad esempio, le sbalorditive prestazioni degli animali da circo, prestazioni “create” tramite condizionamento pavloviano o altre forme di condizionamento.

Lo stesso Ivan P. Pavlov (1849-1936), l’iniziatore degli studi sui riflessi condizionati, pensava che i fenomeni religiosi fossero in realtà una forma di condizionamento. In Italia, agli inizi del XX secolo, lo psicologo e religioso Agostino Gemelli (1878-1959) evidenziò una possibile connessione tra alcune reazioni fisiologiche come le stimmate e determinati disturbi nevrotici di natura psicopatologica per la cui comprensione era necessario il ricorso non alla teologia, ma alla psicologia.

Molte manifestazioni religiose obbediscono a un meccanismo di condizionamento di questo tipo.

Ne era ben consapevole il filosofo francese Denis Diderot (1713-1784), il quale, nel celebre romanzo La monaca, fa pronunciare le seguenti parole a Susanna, la protagonista del racconto:

Non ho mai avuto vocazione per il chiostro, e lo dimostra abbastanza il mio operato; ma in convento mi sono abituata a certe pratiche che ripeto senza pensarci; per esempio, suona una campana? mi faccio il segno della croce, o m’inginocchio. Bussano all’uscio? dico Ave. M’interrogano? la mia risposta termina sempre con un sì o no, madre cara o sorella mia. Se sopraggiunge un estraneo, le braccia mi s’incrociano sul petto, e invece di far la riverenza m’inchino (D. Diderot, La monaca, Editori Associati, Roma, 1966, pp. 255-256).

Anche la recita del rosario induce un condizionamento di tipo pavloviano: l’associazione tra la ripetizione continua e costante della preghiera (stimolo incondizionato) e determinati stati d’animo (fervore, rilassamento, meditazione), quali stimoli condizionati, provoca il curioso effetto per cui l’inizio del rosario è sufficiente a indurre lo stato psicologico in questione, che, alla conclusione della preghiera, scomparirà repentinamente. Il praticante è così suggestionato a sperimentare determinate condizioni psichiche, che lo predispongono ad accogliere e fare suoi i contenuti del messaggio religioso trasmesso attraverso la preghiera.

Oppure, pensiamo ai credenti che si sentono spinti a farsi il segno della croce, ogni volta che passano accanto a una chiesa. O a recitare l’Eterno riposo (“L’eterno riposo dona loro, o Signore, e splenda ad essi la luce perpetua”) ogni volta che sono in presenza di un defunto.

Si tratta di una fenomenologia di comportamenti vasta, probabilmente non indagata a sufficienza da questo punto di vista.

Ne parlerò in un libro che andrà in stampa il prossimo anno dedicato alla sociologia e psicologia del rosario.

Avremo modo di parlarne.

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