L’effetto placebo in religione

L’effetto placebo è da tempo oggetto di importanti studi in ambito medico e scientifico per la sua indubbia rilevanza sia in fase di sperimentazione sia in termini di effetti terapeutici sui soggetti. Meno nota è la sua presenza in ambito religioso dove pure esercita un impatto considerevole sulle credenze dei singoli individui.

Un esempio notevole, narrato da Ted J Kaptchuk, Catherine E Kerr e Abby Zanger, ci viene dalla Francia del 1599 ed è relativo a un caso di esorcismo effettuato su una donna di nome Marthe Brossier. All’epoca era stato appena siglato l’Editto di Nantes (1598) che formalizzava la pace tra cattolici e ugonotti (protestanti) dopo anni di conflitti religiosi. Tra le due confessioni non correva buon sangue e gli ugonotti erano visti come l’incarnazione del diavolo da molti cattolici. In questo clima, la giovane Marthe Brossier, cittadina francese cattolica della Loira, si trovò ad essere “posseduta” da Belzebù e altri demoni i quali esclamarono più volte, con grande scandalo dei presenti, che tutti gli ugonotti appartenevano a Satana. Il caso ebbe una certa risonanza tanto che il re Enrico IV inviò una commissione ad esaminare la pretesa possessione della ragazza.

Come è noto, secondo la dottrina cattolica, i criteri diagnostici della possessione sono fondamentalmente quattro: 1) una violenta avversione al sacro; 2) la conoscenza di lingue sconosciute; 3) la conoscenza di fatti lontani o di scritti mai letti; 4) una forza fisica straordinaria. La commissione assunse sin dall’inizio un atteggiamento scettico nei confronti delle manifestazioni demoniache della ragazza e per valutarne la genuinità, eseguì vari trick trials: in altre parole, sottopose la giovane a diverse prove in cui le si faceva credere di essere esposta a oggetti sacri che, però, sacri non erano. Ad esempio, la commissione notò che, in virtù del criterio dell’avversione al sacro, la Brossier si agitava ed esibiva fitte di dolore quando era cosparsa con acqua benedetta. Ma lo stesso accadeva quando era cosparsa con acqua normale che la giovane credeva benedetta. Quando le fu offerta un’ostia ritenuta sacra, Marthe reagì in maniera violenta. La medesima reazione si ebbe quando le fu presentata una reliquia della vera croce (in realtà, un comune pezzo di ferro) e le fu letto un passo della Bibbia, tratto in realtà dall’Eneide di Virgilio.

Come si spiegano questi comportamenti? Nel 1580, il filosofo francese Montaigne aveva già risposto a questo interrogativo, chiamando in causa il “potere dell’immaginazione” che, a suo avviso, era responsabile di molte guarigioni, ordinarie e sorprendenti, e che era un’”arma” importante della medicina dell’epoca. Oggi, preferiamo parlare di “effetto placebo”, ma il risultato è lo stesso. È probabile che l’effetto placebo – la nostra immaginazione – svolga un ruolo importantissimo in ambito religioso e che molti “posseduti” creino inconsapevolmente i sintomi della loro possessione, facendo proprie le rappresentazioni culturali che la religione di appartenenza comunica loro sin dall’infanzia. Di queste rappresentazioni fanno parte i quattro comportamenti diagnostici sopra descritti che contribuiscono dunque a costruire l’immagine dell’indemoniato tipico a cui affidarsi per esprimere i propri disagi personali.

Estendendo il discorso non sembri blasfemo concepire la fede come un potentissimo placebo che conferisce senso alla vita e consente di superare o tollerare i dolori dell’esistenza. È per questo probabilmente che la religione non morirà mai e che tante persone continueranno ad affidare a essa, nonostante le sfide che pone alla ragione e al buon senso, il significato del proprio esistere.

Fonte: Ted J Kaptchuk; Catherine E Kerr; Abby Zanger, 2009, “Placebo controls, exorcisms, and the devil”, The Lancet,  vol. 374, pp. 1234-1235.

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