Ordinari anacronismi dell’età

«Cinquant’anni? Complimenti non li dimostri!». «Però! Ha quarant’anni, ma ne dimostra dieci di più!». «Ho appena compiuto 55 anni, ma mi sento come un ventenne». «Ha vent’anni, ma si trascina come un vecchio!».

Nei commenti che è dato sentire sull’età delle persone, soprattutto in occasione dei compleanni, è implicito un interessante meccanismo psicosociale: l’età reale della persona oggetto di commento viene posta in relazione a uno standard anagrafico ideale, la cui validità, uniforme e condivisa, è data per scontata. Si suppone, cioè, che quando si dice che “X non dimostra la sua età/sembra più vecchio della sua età”, tutti condividano e sostengano nella stessa maniera un modello astratto di riferimento che stabilisce quale aspetto fisico sia consono a un sessantenne, un cinquantenne o un ventenne. Ogni deviazione da questo modello tacito viene sanzionata in termini positivi (“Sembri così giovane!”) o negativi (“Ha più rughe di quanto dovrebbe!”).

Ho l’impressione che tale standard di raffronto tenda a essere spesso piuttosto conservatore, ossia che il confronto avvenga rispetto a una versione ideale anagrafica retta su una rappresentazione asincrona dell’età. In altre parole, quando si osserva che il cinquantenne Y sembra più giovane della sua età, si pone a confronto la sua immagine con quella di un cinquantenne idealtipico di almeno un decennio (se non un ventennio) prima, non tenendo conto del fatto che in dieci o venti anni, mutano gli standard salutistici, estetici, anagrafici, sociali di riferimento.

Per renderci conto di questo curioso meccanismo, quando ci capita di essere testimoni di commenti come quelli citati in precedenza, basta opporre al nostro interlocutore la domanda: «Che aspetto dovrebbe avere un cinquantenne (o un ventenne, trentenne ecc. secondo i casi)?». In molti casi, questa domanda lascerà sconcertati perché si tenderà a dare per scontato che tutti ne conoscano la risposta. Se, però, si insiste, si noterà che il cinquantenne (o il ventenne, trentenne ecc.) ideale della persona che ci è di fronte corrisponde a una immagine risalente nel tempo, di solito più “vecchia” di quanto sia dato riscontrare empiricamente nella realtà. Così, molti quarantenni, cinquantenni ecc. appariranno spesso più “giovani” perché il termine di raffronto è cronologicamente più “vecchio”.

Naturalmente, a volte può accadere anche il contrario, ossia lo standard di raffronto può essere spostato avanti nel tempo e il cinquantenne, che per un commentatore è più “giovane” della sua età, per un altro sarà più “vecchio”. È probabile che, in questo caso, agisca anche un meccanismo proiettivo nel senso che il “commentatore” tende a proiettare sul futuro le proprie speranze relative a come vorrebbe essere una volta raggiunta quell’età, ossia con un aspetto giovanile, e il confronto impietoso avviene rispetto a una realtà che, inevitabilmente, è diversa da quella sperata.

Fatto sta che ognuno di noi possiede una sua rappresentazione di come dovrebbe scorrere il tempo e manifestarsi l’età. Solo che tende a pensare che questa rappresentazione, di cui non parla mai esplicitamente con nessuno, sia la medesima per tutti e sia da tutti condivisa pacificamente. Salvo poi ricredersi quando il quarantenne da lui/lei considerato in forma sarà giudicato in maniera opposta dal cugino o dalla vicina di casa.

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