La spettacolarizzazione del feto

Il recente, rinnovato vigore con cui si discute del diritto all’aborto, specialmente dopo la decisione della Corte suprema statunitense che ha abolito la celebre sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l’aborto negli Usa, non è alimentato, a mio avviso, esclusivamente da considerazioni e riflessioni di natura etica, giuridica e politica, ma anche, seppure se ne parli di meno, dai progressi tecnologici degli ultimi decenni, che hanno dato all’embrione e al feto una nuova forma di rappresentabilità.

Mi riferisco in particolare all’onnipresenza dell’ecografia, che, da tecnica medico-diagnostica per monitorare lo stato di salute e lo sviluppo del nascituro, è diventata ormai uno strumento che conferisce visibilità a un soggetto di cui, in precedenza, si era soliti parlare in abstracto.

L’ecografia è, a tutti gli effetti, responsabile della spettacolarizzazione del feto, sulla cui immagine antropomorfa i genitori possono facilmente proiettare qualsiasi aspettativa, credenza, convinzione, ben prima della nascita reale. L’ecografia è lo schermo su cui convergono le attese di ogni genitore, il “cielo stellato” a cui assegnare significati di ogni tipo, il vettore che consente di concepire il feto come titolare di diritti soggettivi in virtù della sua iconicità, rappresentabilità, identificabilità immediata. Tutto ciò ha rilevanti conseguenze giuridiche e politiche, evidenti dalle reazioni degli ultimi decenni a un diritto – quello all’aborto – che sembrava essere stato stabilito in Occidente una volta per sempre.

Mentre, dunque, un tempo, prima dell’avvento dell’ultrasound (come gli americani definiscono l’ecografia), il feto era una entità amorfa e inimmaginabile destinata, comunque, a svilupparsi in un essere umano, oggi esso è “già vivo prima di nascere”, già “investibile” in termini emotivi e psicologici, già riconducibile alla propria storia familiare pregressa e rapportabile alla propria vita futura.

Così, come succede con tutto ciò che è rappresentabile visivamente e condivisibile, il feto promuove e amplifica emozioni, riflessioni, discussioni. In altre parole, grazie alla sonography (altro termine anglofono), nessuno di noi può essere indifferente all’esistenza del feto e al fatto che tale esistenza implica, almeno potenzialmente, la titolarità di un diritto.

È per questo motivo, che, a mio avviso, nei prossimi anni le discussioni sul diritto all’aborto diventeranno sempre più accese e, al contempo, le sorti della battaglia verteranno sulla maggiore o minore forza iconica dell’immagine del feto rispetto a quella della madre: un conflitto di sembianze, figure, apparenze in un mondo in cui sembianze, figure e apparenze contano sempre più.

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