Gesù pretende una fede cieca?

Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno! (Giovanni 20,27-29. Bibbia CEI).

Il celebre brano giovanneo citato ci lascia intendere che Gesù abbia rimproverato Tommaso, il suo discepolo, per non essersi fidato della testimonianza dei suoi  compagni e che lo abbia invitato a toccare il suo costato per trovare conferma della sua resurrezione. A questo punto, tutte le traduzioni, anche le più recenti, propongono: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!». Sembra un invito a credere ciecamente, senza prove, solo in base alla pura fede e così, in effetti, la frase è interpretata ancora oggi.

Secondo il teologo gesuita belga Ignace de la Potterie, alla base di questa interpretazione vi sarebbe un grave errore di traduzione.

L’errore di traduzione consiste nel tradurre al presente il rimprovero di Gesù. In questo modo le parole vengono trasformate in una regola di metodo valida per tutti coloro che vivono nei tempi successivi alla morte e resurrezione di di Gesù. (…) In realtà, qui il verbo non è al presente, come viene tradotto. Nell’originale greco il verbo è all’aoristo (pisteùsantes) e anche nella versione latina era messo al passato (crediderunt): “Beati coloro che senza aver visto (ossia senza aver visto me, direttamente), hanno creduto”. E l’allusione non è ai fedeli che vengono dopo, che dovrebbero “credere senza vedere”, ma agli apostoli e ai discepoli che per primi hanno riconosciuto che Gesù era risorto, pur nell’esiguità dei segni visibili che lo testimoniavano (Gaeta, 2005, pp. 86-87).

Continua de la Potterie:

In particolare il riferimento indica proprio Giovanni, che con Pietro era corso al sepolcro per primo dopo che le donne avevano raccontato l’incontro con gli angeli e il loro annuncio che Gesù Cristo era risorto. Giovanni, entrato dopo Pietro, aveva visto degli indizi, aveva visto la tomba vuota e le bende rimaste vuote del corpo di Gesù senza essere sciolte, e pur nell’esiguità di tali indizi aveva cominciato a credere. La frase di Gesù “beati quelli che pur senza aver visto (me) hanno creduto” rinvia proprio al “vide e credette” riferito a Giovanni al momento del suo ingresso nel sepolcro vuoto. Riproponendo l’esempio di Giovanni a Tommaso, Gesù vuole indicare che è ragionevole credere alla testimonianza di coloro che hanno visto dei segni, degli indizi della sua presenza viva. Non è la richiesta di una fede cieca, è la beatitudine promessa a coloro che in umiltà riconoscono la sua presenza a partire da segni anche esigui e danno credito alla parola di testimoni credibili (Gaeta, 2005, p. 87).

Niente a che vedere, dunque, con la fede cieca, quella di chi crede a prescindere da ogni riferimento empirico. L’affermazione di Gesù si inscrive in un momento preciso, situato nella sua contingente biografia umana e il suo significato non è generalizzabile a regola massima. Soprattutto non può legittimare credenze insostenibili a ogni verifica empirica. In un’epoca tendente allo scetticismo come la nostra, ciò sarebbe peraltro non condivisibile.

La tesi di de la Potterie renderebbe più moderno il messaggio di Gesù e meno strumentalizzabile il suo significato nel nome di una fede senza fondamenti, che, fra l’altro, è ciò a cui si appellano sensitivi, maghi, guaritori e altri truffatori contemporanei per dare credito alle proprie pretese.

Fonti:

de la Potterie, I., 1997, Storia e mistero. Esegesi cristiana e teologia giovannea, Sei, Torino.

Gaeta, S., 2005, Il volto del Risorto, Famiglia Cristiana-Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), pp. 86-87.

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