Una cultura aforistica

Viviamo nell’epoca degli aforismi. Anzi, viviamo in una cultura che, per certi versi, potremmo definire aforistica. Tutti amano gli aforismi, amano sentirli, recitarli, ripeterli, brandirli. Gli aforismi si pongono all’inizio e alla fine di conferenze, all’inizio, in mezzo e alla fine di scritti di ogni tipo, spopolano nei Social e sul Web, dove interi siti si peritano di raccoglierli e offrirli agli internauti in cerca di frasi ad effetto. Nella vita quotidiana, quando siamo sui Social, quando adoperiamo i nostri smartphone, propendiamo per forme estreme di concisione perché ci hanno insegnato che la vita è questa e che esagerare con i caratteri ti esclude dalla vita che conta. Brevitas rules, come direbbero Seneca e Shakespeare all’unisono.

Gli aforismi, gli apoftegmi, le massime, le citazioni stringate abbondano su Facebook, Twitter, capi di abbigliamento (t-shirt), involucri di cioccolatini. Gli aforismi sono adoperati per infiorare e abbellire i contenuti anche se non hanno nessuna attinenza con il contenuto del discorso o dello scritto. La nostra cultura ama le citazioni, gli slogan, gli eserghi, gli aforismi, le “frasi celebri”, rilanciati sui social, addossati l’uno all’altro nei libri, gridati da opinion leader, politici, cantanti e religiosi.

Perché? Potremmo domandarci. Una delle ragioni principali è che gli aforismi sanno essere ingannevolmente persuasivi: sono succinti, perentori, compendiosi, si ricordano facilmente, sono pieni di ovvietà e luoghi comuni, ma al tempo stesso sembrano offrire indimenticabili pillole di saggezza. Inoltre, a causa della loro concisione, non richiedono tante spiegazioni. Sono veri perché è così e basta; perché lo dicono loro. Ma lo dice anche la tradizione e l’effetto familiarità che si trascinano nel tempo (più li ascoltiamo o leggiamo e più ci sembrano veri).

In un’epoca in cui la nostra attenzione è invariabilmente suddivisa in mille rivoli – mariti, mogli, figli, amici, colleghi di lavoro, tablet, smartphone, iPod, iPad ecc. – una breve frase concisa e succulenta è quanto ci vuole per attirare l’attenzione. Essa avrà sicuramente più possibilità di essere notata di un lungo brano o addirittura di un intero articolo o di un pachidermico libro. A causa della sua concisione e perentorietà, l’aforisma è spesso abbracciato da chiunque “non abbia tempo da perdere”. Ma anche da chi ha bassa autostima ed è convinto di trovare la soluzione ai propri problemi in poche vocali e consonanti.

Il rischio è quello di liofilizzare la vita e ridurla a poche parole celebri e saccenti, spesso astratte da contesti più ampi e costrette a sostenere l’impalcatura di pensieri molto più ampi e complessi. È triste dirlo ma le persone confondono brevità e saggezza, compendiosità e sapienza: decantano la fugacità e ne fanno il proprio stile di vita.

La vita, però, è complessa, articolata, difficile, irriducibile a compendi eidetici.

Perché l’aforisma blocca il pensiero, lo condensa in poche parole famose che danno l’illusione di sintetizzare i più complessi problemi dell’umanità, parole altamente riduttive, in apparenza profonde e definitive, facili da ricordare e memorizzare e ripetere, ieratiche, che sembrano sfidare ogni analisi critica e ideologica, e fanno contenti i cretini che pensano di essere colti perché sanno citare a memoria queste frasi.

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