Mascherine e mutandine

Antropologicamente, viviamo in un’epoca di transizione. L’uomo mascherato, affermatosi, normalizzatosi e interiorizzato negli ultimi due anni sta per essere sostituito dall’antiquato uomo desnudo, privo di mascherine e angosce virali, libero di mostrare incautamente, e senza senso di colpa, naso e bocca.

Le transizioni non sono mai cosa semplice. Trascinano con sé sedimenti, abitudini, vezzi inconsulti di cui è arduo affrancarsi da un giorno all’altro. A tali residui sono poi associati sentimenti, sensazioni, reazioni istintive su cui bisogna esercitare uno sforzo emancipatorio notevole. Lo ripeto: le transizioni non sono mai semplici.

Il modello antropologico dell’uomo mascherato non cederà, dunque, facilmente il testimone alla sua versione precedente. In particolare, si avverte che la mascherina – l’orpello sineddochico per eccellenza di questa pandemia – non ha svolto sinora una mera funzione protettiva, tutelare, preventiva, profilattica, ma ha creato una nuova forma di pudore che traspare prepotentemente quando ci abbassiamo la mascherina in pubblico, sebbene questo gesto sia oggi ufficialmente autorizzato, anzi, nonostante, in molti luoghi, sia ora possibile fare totalmente a meno del salvifico tessuto.

L’abbassamento della mascherina suscita visibilmente reazioni negative, come se la “rivelazione” di naso e bocca fosse divenuta un atto osceno, affine a quello di mostrare seno e pudenda a collettività morali. Si può dire, anzi, almeno per ora, che naso e bocca sono le nuove pudenda: come il seno, il sesso e l’ano, esse comunicano immediatamente intimità e come il seno, il sesso e l’ano possono essere facilmente contagiabili e contagianti: si viene a creare così una contiguità del contagio potenziale che genera inaspettate consonanze.

Lo starnuto, ad esempio, ha ormai acquisito la valenza letale delle escrezioni provenienti da organi considerati, a torto, meno nobili. Espettorazioni ed eiaculazioni, deiezioni rettali e nasali, tumefazioni sessuali e linguali: le contiguità linguistiche e metaforiche tendono sempre più a tracimare l’una nell’altra, a far percepire sovrapposizioni e identificazioni prima inimmaginabili, a suscitare reazioni primordiali prima associate solo a determinate parti del corpo.

A essere sconci, dunque, non sono solo peni e vagine, ma anche nasi e bocche. Questa nuova geografia dell’oscenità ci porta a guardare con fastidio, se non con disgusto, zone del corpo precedentemente ritenute anodine o quasi, ma, al tempo stesso, come accade con il sesso, a provare una nuova forma di eccitazione che probabilmente si intreccerà a nuove forme di perversione e tralignamento morale. Temeremo gli effluvi salivali, ma al tempo stesso li desidereremo. Avremo disgusto di ciò che fuoriuscirà dalle narici, ma al tempo stesso ne saremo incuriositi. Forse, non succederà nulla del genere. Forse, ci attende una rivoluzione del pudore.

Resta il fatto che, a seguito della pandemia, il nostro senso del pudore è mutato. Quale forma assumerà è difficile prevederlo. Sicuramente, non guarderemo più una bocca come un organo innocente.

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