Anche lo squacquerone è cultura

Oggi il concetto di cultura – concetto niente affatto monosemantico – è manifestamente vittima di uno sconcertante abuso, che a volte rasenta lo stupro: il termine viene adoperato per giustificare e dare credito a qualsiasi fenomeno sociale, simbolico o materiale, per quanto volgare, inutile o infimo esso sia. È “cultura” tanto la sagra del piffero toscano (non so se esista qualcosa del genere) quanto il programma televisivo in cui la parola più alta è di genere turpiloquiale; rientra nella cultura tanto il consumo della nuova maschera di Halloween quanto la manifestazione della festa (inventata) dei cornuti; tanto la riscoperta del maialino nero casertano quanto quella dei grani antichi (che poi antichi non sono). In particolare, il termine “cultura” è spesso oggi associato a “cibo”, tanto che sono tentato di credere che l’unico ambito in cui si faccia davvero cultura nella contemporaneità sia quello alimentare. Il risultato è che “cultura” appare un termine tecnicamente degradato e insoddisfacente, se non altro perché se tutto è cultura, niente lo è davvero. Questa “degradazione” non è priva di conseguenze, anche materiali. Se tutto è cultura, ogni fenomeno, manifestazione, evento sociale ecc. avrà diritto a finanziamenti pubblici e privati, a endorsement istituzionali e retorici di vario tipo (“Il caciocavallo è cultura!”) e genererà i suoi “conflitti culturali” (“Se il caciocavallo è cultura, il  Nostrano Valtrompia dove lo mettiamo?”) con tanto di verbosi commenti. Le conseguenze possono essere anche paradossali: rinunceremo, ad esempio, a celebrare il grande filosofo perché siamo troppo impegnati a diffondere il verbo dello  squacquerone (oggi ce l’ho con i formaggi).

Non intendo qui cavalcare l’onda del facile moralismo e della denuncia dei nostri tempi barbari. Vorrei piuttosto far notare che l’abuso degradante del termine “cultura” ha origine proprio nella sua polisemia e nelle confusioni (consapevoli o no) in cui essa precipita i parlanti.

Per comodità, diremo che “cultura” ha almeno due significati. Il primo (significato 1), quello classico, di stampo ciceroniano, indica, come ricorda la Treccani, “l’insieme delle cognizioni intellettuali che, acquisite attraverso lo studio, la lettura, l’esperienza, l’influenza dell’ambiente e rielaborate in modo soggettivo e autonomo diventano elemento costitutivo della personalità, contribuendo ad arricchire lo spirito, a sviluppare o migliorare le facoltà individuali, specialmente la capacità di giudizio”. In questa accezione, la cultura indica anche il “complesso delle istituzioni sociali, politiche ed economiche, delle attività artistiche e scientifiche, delle manifestazioni spirituali e religiose che caratterizzano la vita di una determinata società in un dato momento storico”. Secondo questo primo significato, “cultura” è un insieme di conoscenze che rendono migliori gli individui e, in quanto tale, è qualcosa di auspicabile e connotato positivamente: essere colti è una condizione positiva; essere ignoranti una condizione negativa. Cultura sono anche istituzioni, manifestazioni ed eventi che rendono migliori i cittadini e che sono connotati positivamente: far parte di una associazione culturale è cosa buona, come pure partecipare a “eventi culturali”.

Altra cosa è la cultura da un punto di vista antropologico (significato 2). Per dirla con uno dei padri fondatori dell’antropologia, Edward Tylor, la “cultura” è «quell’insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo in quanto membro della società». Nella cultura rientrano, dunque, sistemi di norme e di credenze, costumi e abitudini acquisite, artefatti umani (opere d’arte, ma anche  oggetti di uso quotidiano). In questo senso, tutti hanno una cultura; la cultura è un concetto neutro, non connotato né positivamente né negativamente. La cultura è qualcosa che tutti hanno per il solo fatto di vivere in società e comprende tanto l’Amleto di Shakespeare quanto la poltrona su cui ci si siede ogni giorno; tanto la Torre Eiffel quanto il bottone presente sulla nostra giacca.

In questa accezione è vero, allora, che “tutto è cultura”. Ma quando dicono “tutto è cultura”, i sostenitori del gorgonzola giocano sulla polisemia del termine in un modo di cui non sempre sono consapevoli. In altre parole, fanno riferimento al termine nell’accezione del significato 2, in cui, come abbiamo visto, tutto è effettivamente cultura, conferendogli la connotazione positiva del significato 1, in cui la cultura è qualcosa che non tutti hanno ed è considerata una “merce” preziosa. “Il caciocavallo è cultura” è, dunque, una espressione propriamente afferente al significato 2 del termine “cultura”, ma che richiama e ammicca al valore e al credito conferiti dal significato 1. Una vera e propria mistificazione intellettuale di cui tutti noi siamo vittime ogni volta che ascoltiamo frasi del tipo “Anche X è cultura!”. In questo modo, si spaccia per significato 1 ciò che propriamente è significato 2, traendo quanto conviene da entrambe le accezioni. Il risultato è che ciò che è banale e ordinario acquista improvvisamente una nuova patente che conferisce un’aura quasi magica praticamente a tutto ciò che è definito “cultura”. È così che, divorando la nostra razione di  finocchiona, crediamo di diventare dei novelli Johann Wolfgang von Goethe.

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