Sulla relatività della bellezza

La nostra epoca, abbacinata dalla retorica della bellezza salvifica (“la bellezza ci salverà”, ripetono come un mantra politici, insegnanti, amministratori locali e scrittori di ogni genere) e ossessionata dall’ideale/imperativo della bellezza fisica che trascende ogni confine di età (e che arricchisce pubblicitari e ditte di prodotti di bellezza),  tende spesso a dimenticare che il concetto stesso di bellezza è mutato nel corso del tempo a tal punto che faremmo fatica, oggi, a definire belli/belle individui, maschi e femmine, un tempo apprezzati proprio per il loro aspetto fisico.

Ce lo ricorda la storica Olwen Hufton in un brano del suo interessantissimo Destini femminili. Storia delle donne in Europa 1500-1800 (Mondadori, Milano, 1996, p. 109):

A quell’epoca [nel XVII secolo] chiunque non fosse butterato dal vaiolo, non soffrisse di carenze vitaminiche, non avesse difetti congeniti o malformazioni professionali era attraente. Nella Franca Contea una ragazza che a venticinque anni non avesse le vene varicose era una rarità. La bellezza, si sa, è relativa.

Vene varicose a 25 anni? Oggi, probabilmente inorridiremmo all’idea. Anzi, una situazione del genere sarebbe descritta come patologica e rimessa al medico/chirurgo di turno, il quale sarebbe invitato alacremente a fare qualcosa per la “poverina” di turno, pena la sua emarginazione sociale.

Insomma, la bellezza è non solo relativa, ma, in base al tipo di società, può essere un fatto meramente estetico o anche medico. Lo dimostra il volto butterato della foto che appartiene al celebre rivoluzionario francese Robespierre. Ai suoi tempi era considerato “normale”. Oggi, un leader politico con quel volto avrebbe difficoltà perfino a proporsi come soggetto credibile.  Potenza della relatività dei modi di vedere il mondo!.

A proposito, a quando una sociologia della bellezza?

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