Su un capzioso dispositivo retorico dei credenti

In Sette contro Tebe di Eschilo, Eteocle, figlio di Edipo, in procinto di affrontare in guerra il fratello Polinice, esclama nel prologo: «Se ci andrà bene, ne sarà causa un dio; ma se all’inverso – oh, non accada! – sorte nemica di toccherà, Eteocle soltanto per tutta la città da mormorio avverso di preludi  e da singhiozzi celebrato sarà: ma Zeus distornatore veramente distornatore sia di questi mali alla città dei Cadmei» (Il teatro greco, 2020, Tragedie, BUR, Milano, p. 103).

Questo particolare dispositivo retorico – se le cose vanno bene è merito della divinità, se vanno male è colpa dei uomini – è attualmente usatissimo dai fedeli di tutto il mondo per conferire un senso a uno dei dilemmi più antichi che affliggono i credenti: se esiste dio, e se dio è un essere perfettamente buono e onnipotente, come spiegare l’esistenza del male nel mondo? Uno degli espedienti preferiti è quello di affermare che da dio può provenire solo il bene, ma dal momento che l’umanità creata da questi è dotata di libero arbitrio, sono gli uomini e le donne, in ultima analisi, a scegliere di condursi bene o male e, quindi, se esiste il male, questo scaturisce da essi, non da un’entità sommamente benevola.

In alternativa, il posto di uomini e donne è preso dal diavolo, il “principe di questo mondo”.

A questo argomento si potrebbe ovviamente obiettare che, essendo dio il creatore dell’umanità, è lui (o lei o esso) in ultima analisi ad essere responsabile delle sue sorti e che, se avesse davvero voluto che il bene trionfasse sempre e comunque, avrebbe potuto/dovuto creare uomini e donne come esseri incapaci di compiere il male o distruggere una volta per tutte il diavolo (o chi per esso).

L’evidenza della capziosità dell’argomento di Eteocle non ha, però, mai davvero condizionato le credenze dei fedeli, i quali continuano a sostenere imperterriti questa “politica del doppio binario etico”.

Psicologicamente, è facile capire perché. Credere in una divinità contraddittoria e inaffidabile, mal si concilia con la convinzione che le divinità sono onnipotenti, onnipresenti e assolutamente buone. Allora, meglio prendersela con i nostri simili, la cui cattiveria ben conosciamo e con la quale facciamo i conti ogni “santo” giorno.

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