Su due frasi di epoche tra loro distanti

A volte, mettere a confronto detti, massime, proverbi, apoftegmi, modi di dire di epoche diverse consente di cogliere la distanza culturale e psicologica intercorrente tra esse meglio di un trattato di sociologia o di storia.

Pensiamo alla concezione della morte che possediamo noi del XXI secolo, riassumibile nella diffusissima frase “È morto senza accorgersene”, e quella che traspare da un antico verso della Litania di Ognissanti che esprime l’atteggiamento del cristiano credente di fronte alla morte: A subitanea morte, libera nos, Domine (“Liberaci, o Signore, da una morte improvvisa”).

“È morto senza accorgersene”, al tempo stesso commento ubiquitario e sospiro ottativo, esprime una delle ambizioni massime di noi che viviamo in una società secolarizzata: morire senza soffrire e senza essere consapevoli (anzi, senza soffrire perché non consapevoli perché consapevolezza = atroce sofferenza). Secondo questa concezione, la morte più desiderabile è quella che si riduce ad attimo fuggente, a momento effimero, anzi l’effimero per eccellenza, a residuo ineffabile e impensabile, negazione di una immortalità presunta, sempre vagheggiata. La morte migliore è una morte anestetizzata, analgesica, distante, al limite trascurabile, se non repressa, momento di trapasso verso il nulla. Soprattutto inconsapevole. Il che è paradossale, se si pensa che viviamo nell’epoca della consapevolezza, anzi della mindfulness, della coscienza sempre presente a se stessa. Fuorché ovviamente nella morte.

Il verso “Liberaci, o Signore, da una morte improvvisa” sottende, invece, una concezione completamente opposta della morte, che dovrebbe appartenere a ogni vero cristiano. Essere portato via in maniera repentina senza avere avuto la possibilità di prepararsi, di sentirsi pronti, di poter fare i conti con la vita che si è vissuto, dovrebbe essere per i veri cristiani il massimo dei pericoli da cui guardarsi. Morte improvvisa significa morte non cosciente, morte senza intenzione. Di qui l’importanza salvifica, soteriologica, del momento della morte, che può decidere del futuro dell’anima nell’aldilà. Tale concezione è riassunta nel celeberrimo “memento mori” e nei versi del Cantico delle creature di San Francesco: «Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali; beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male». In ogni azione, in ogni pensiero, il cristiano dovrebbe comportarsi come se dovesse morire oggi stesso. Appunto: “Ricordati che devi morire!”.

Quanta distanza, dunque, tra il contemporaneo “È morto senza accorgersene” e l’antico “Liberaci, o Signore, da una morte improvvisa”. Sembrano solo frasi di poche parole. Celano, invece, concezioni diametralmente opposte della vita e della morte.

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