Le “superstizioni moderne” di Thomas De Quincey

Di Thomas De Quincey (1785-1859), scrittore colto, traduttore e saggista inglese, “romanticamente” afflitto per buona parte della sua vita da problemi finanziari e di salute, noi italiani conosciamo soprattutto Le Confessioni di un mangiatore d’oppio, brumosa quanto redditizia storia autobiografica di una dipendenza dolorosa, appena mitigata dall’erudizione e dallo spirito introspettivo con cui fu scritta, apparsa prima a puntate sul London Magazine nel 1821, poi in volume nel 1822, e riedita, a maggior gloria monetaria dell’autore, nel 1856.

Conosciamo, forse, anche quella notevole prova di umorismo macabro che è L’Assassinio come una delle belle arti (1827), sorta di giustificazione dell’omicidio in nome dell’estetica, che ha imposto anche al più orrendo dei crimini il rispetto di precisi criteri artistici laddove gli unici principi con cui tradizionalmente l’umanità lo ha giudicato sono di tipo morale e giuridico. Poi poco altro.

In realtà, Thomas De Quincey fu un autore estremamente prolifico, tanto che la prima edizione americana delle sue opere comprende ben 22 volumi, pubblicati tra il 1851 e il 1859, a cui si unirono, nel tempo, altri volumi di inediti sparsi a testimonianza della feconda vena artistica dell’autore. Dalla sua penna sono usciti testi deliziosamente lepidi, eruditi, riflessivi su una quantità enorme di argomenti di natura letteraria, ovviamente, ma anche politica, economica, storica, religiosa, morale, filosofica, antropologica, sociologica, psicologica (ante litteram nella circostanza delle ultime tre discipline), che stuzzicano la riflessione e sorprendono ancora oggi per la concreta attualità.

È il caso di Modern Superstition, apparso in origine nel 1840 sulla rivista Blackwood, e da me tradotto in italiano per la prima volta, a mia conoscenza. Si tratta di uno scritto particolarmente erudito, che suggerisce una meditazione approfondita sul tema delle superstizioni, affrontato tanto in chiave classificatoria, quanto in chiave semantica, storica, religiosa, antropologica. Ma anche – e questo è l’aspetto per me più interessante – psicologica e sociologica. Il testo, infatti, offre intuizioni estremamente brillanti sulle cause psichiche e sulle circostanze sociali che sono dietro il fenomeno della superstizione; cause e circostanze che oggi hanno nomi ben precisi nel lessico delle scienze sociali e che è interessante sottoporre a disamina retrospettiva, sapendo quello che sappiamo oggi sul funzionamento della mente e della società.

Attenzione, però! Sarebbe grossolanamente scorretto pensare che De Quincey sia una sorta di scettico o debunker dei fatti superstiziosi. Come vedremo, lo scrittore inglese è, per certi versi, un “credente” e assicura la propria fede a episodi e contingenze che oggi derubricheremmo ad altro. Tra una professione di credenza e l’altra, tuttavia, fanno capolino più di una considerazione filosofica, se non illuministica, sull’argomento trattato che è interessante ricondurre all’attuale patrimonio conoscitivo della psicologia e della sociologia.

Qui la traduzione di Modern Superstition con una mia introduzione.

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