Il tifoso bricoleur

Le osservazioni che seguono si collegano a un post dell’8 settembre in cui esaminavo il contenuto di una lettera che la Curva Nord dell’Inter aveva indirizzato al proprio calciatore Romelu Lukaku, bersagliato da cori razzisti durante l’incontro Cagliari-Inter del 01/09/2019.  In quell’occasione rimarcavo che alcuni episodi di “razzismo” possono essere ascritti a dinamiche psico-sociali complesse che si rifanno alla cornice amico-nemico entro cui si svolgono ordinariamente le partite di calcio. In questa cornice, scrivevo, «i tifosi tenderanno ad adoperare qualsiasi mezzo retorico e verbale per “colpire” il nemico. Il repertorio a cui è possibile attingere contiene formule di ogni tipo e la massima di riferimento è “tutto vale”».

Facendo seguito a quelle osservazioni, è interessante segnalare che il comportamento del tifoso non è dissimile da quello del “selvaggio bricoleur” di cui parlava l’antropologo francese Levi-Strauss (Il pensiero selvaggio). Bricolage significa «riordinare e ricontestualizzare degli oggetti per comunicare nuovi significati, all’interno di un sistema di valori che già include dei significati sedimentati all’origine, connessi a tali oggetti. Oggetto e significato insieme costituiscono un segno, e all’interno di ogni cultura i segni vengono assemblati ripetutamente in forme discorsive connotate. Però, quando il bricoleur sposta l’oggetto significante in una posizione diversa all’interno del discorso, usando lo stesso repertorio complessivo di segni, o quando l’oggetto è collocato in un nuovo insieme totale, si genera un nuovo discorso che comunica nuovi significati»(Stuart Hall, Tony Jefferson, 2017, Rituali di resistenza. Teds, mods, skinheads e rastafariani, Novalogos, Aprilia, p. 205).

Si può dire che i tifosi utilizzino costantemente la logica del bricoleur, smontando, riassemblando e ricontestualizzando oggetti e discorsi quotidiani – anche razzisti e sessisti – per i propri fini oppositivi: non importa che cosa si adoperi purché lo si faccia per il giusto obiettivo. Ad esempio, i “buu” che ordinariamente contraddistinguono il discorso razzista vengono spesso risignificati nel contesto della cornice amico-nemico e usati per vituperare, scoraggiare e umiliare il nemico non in quanto appartenente a una “razza” diversa, ma in quanto giocatore rivale. Allo stesso modo, slogan sessisti rétro, frasi scatologiche, auspici di morte immediata ecc. possono tutti essere utilizzati per lo stesso scopo, risemantizzati e resi funzionali alle esigenze della cornice retorica e rituale entro cui si svolgono i confronti fra tifosi. È così che «si genera un nuovo discorso che comunica nuovi significati».

Lo ripeto: con questo non voglio dire che in curva non vi sia razzismo, sessismo ecc., ma solo che le cose sono probabilmente più complesse di quello che mass media e senso comune tendono a credere.

Tutto ciò sarà oggetto di una mia pubblicazione che dovrebbe uscire nel corso dei primi sei mesi del 2020. Vi terrò informati.

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