I “plagi” di Alessandro Manzoni

Il plagio è oggi considerato condotta deprecabile, antipatica, scorretta, degna di intervento penale. Per un plagio, si può perdere la carica di ministro o parlamentare, un lavoro, una opportunità di istruzione, la reputazione sociale. Per contrastare i plagi sono stati predisposti disciplinari, articoli di codice, software, formule etiche e retoriche. Perfino copiare da un compagno di classe non è più considerato una innocua marachella, ma una sorta di reato, che precorre potenziali tendenze criminali da parte di chi vi si dedica.

Eppure, il plagio non ha avuto sempre una cattiva reputazione. In passato, “copiare” da autori famosi era la regola; l’originalità l’eccezione (spesso deprecata). Ne parlo in questo mio post precedente. Del resto, sappiamo che molti personaggi, anche famosi, hanno coltivato questo vezzo, spesso in modo insospettato. Tra questi possiamo ricordare William Shakespeare, Laurence Sterne, Jonathan Swift, Samuel Coleridge, Gabriele D’Annunzio,  Emilio Salgari, Alessandro Manzoni. Sì, anche il nume tutelare della letteratura italiana è colpevole di plagio o, almeno, di “ispirazione sospetta”, e proprio nell’incipit e nell’explicit della sua opera più famosa, I promessi sposi.

Per rendersene conto basta dare un’occhiata alle tabelle qui sotto.

Riguardo alle parole iniziali dei Promessi sposi, il testo di confronto è tratto da un’opera del gesuita Daniello Bartoli (1608-1685), dedicata alla descrizione delle caratteristiche geografiche, urbane, animali e demografiche di vari luoghi del mondo.

Confronto tra l’incipit dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni e un brano delle opere del padre Daniello Bartoli della Compagnia di Gesù, vol. VII, libro I, pag. 67, Tipografia di Giacinto Marietti, Torino, 1825.

Fonte: Giuseppe Bonaviri, 1978, “Come Manzoni deriva da Bartoli il noto brano del ‘Ramo del lago di Como’, Italianistica, VII, 2, pp. 346-353.
Manzoni Bartoli
«Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien quasi a un tratto, tra un promontorio a destra e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni». «Quella parte dunque dell’India che è presso il Gange, e i paesani la chiamano Indostàn, esce di terra ferma e verso il Mezzodì̀ si sporge con una lingua, che dalle due foci dell’Indo e del Gange, onde comincia, è lunga presso di novecento miglia, e la bagnano da ponente il mare d’Arabia, da levante quel di Bengala. Per lo mezzo appunto d’essa, corre dirittamente da settentrione ad ostro una catena di monti, che si spicca dal Caucaso, e scende fino al capo di Comorìn, ch’è l’ultimo termine di quella punta».

L’explicit, invece, trae ispirazione nientemeno che da un libro della Bibbia: il secondo Libro dei Maccabei:

Confronto tra il brano finale dei Promessi sposi di Alessandro Manzoni e le ultime righe del Secondo libro dei Maccabei
Manzoni 2Maccabei
«La quale [conclusione], se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta». «[…] anch’io chiudo qui la mia narrazione. Se essa è riuscita ben ordinata, era quello che volevo; se invece è di poco conto e mediocre, questo solo ho potuto fare».

Certo non si tratta di plagi letterali. C’è molto di peggio in giro. Basti dare un’occhiata alle opere di Gabriele D’Annunzio. Ci sono due modi di porsi nei confronti della questione plagio. Il primo è riassumibile nella posizione moralistica in base alla quale non si deve copiare perché copiare è scorretto. La seconda, quella sociologica, parte dall’assunto che ogni testo è parte di un macro-testo dal quale è impossibile sfuggire e che rende impossibile non ripetere o trarre ispirazione da altri testi. C’è poi da considerare che ogni testo, inserito all’interno di un altro testo, può assumere toni e funzioni estremamente diverse e risultare stravolto nel significato. Quando il testo “copiato” è poi una traduzione, dove comincia l’originale e dove la versione? Insomma, la faccenda è estremamente complessa, a dispetto di ciò che pensano i moralisti.

Per il momento, accontentiamoci di dire che, se il plagio produce opere come quelle di William Shakespeare, Laurence Sterne, Jonathan Swift, Samuel Coleridge, Gabriele D’Annunzio,  Emilio Salgari, Alessandro Manzoni, viva il plagio! O, almeno, non condanniamolo tanto sbrigativamente.

 

 

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