Caste indiane, politica del disgusto e profezia che si autoavvera

The smiling eyes

Nell’India castale, avere certi cognomi come Thorat e Ambedkar significava fare parte degli indesiderabili, i paria, meglio noti in India come dalit ai quali si contrapponevano, all’altro estremo della scala castale, cognomi brahmani  come Chatterjee e Bagchi. Avere questi cognomi, quindi, significava attirare su di sé reazioni e comportamenti di disgusto. Come riferisce la filosofa Martha Nussbaum,

in base alle consolidate tradizioni induiste, un’ampia gamma di individui era categorizzata come “intoccabile”. Facevano parte di questo gruppo le persone che, in virtù della loro occupazione (pulizia delle latrine, smaltimento dei cadaveri), entravano regolarmente in contatto con gli oggetti primari del disgusto. […] La categoria, tuttavia, includeva molti altri individui il cui legame con la sporcizia era esclusivamente magico o simbolico, persone che svolgevano diversi mestieri i più vari; molti dalit, per esempio, erano lavoratori agricoli. Per un certo periodo di tempo, e ancora oggi, l’unico modo certo di identificare un dalit era il cognome; questi cognomi erano noti a tutti in India e dunque un dalit  poteva essere immediatamente riconosciuto. Grazie al potere della suggestione, le persone pensavano davvero che il tocco di un dalit fosse sporco e contaminante, e probabilmente molti lo pensano ancora oggi. Si rifiutavano di accettare cibo preparato o servito da loro. Il matrimonio con un dalit era, e in alcuno zone lo è tuttora, assolutamente inconcepibile (Nussbaum, M.C., 2011, Disgusto e umanità, Il Saggiatore, Milano, p. 91).

Ora, queste persone non erano di per sé disgustose, ma il fatto di appartenere a una casta emarginata (anche se propriamente i dalit non sono nemmeno  una casta) e la diffusione di pregiudizi molto radicati nei loro confronti portava i membri delle altre caste a trovarli disgustosi e a rilegarli in posizioni sociali e lavorative considerate disgustose. La definizione originale, dunque, – “Alcune persone sono intoccabili e disgustose” – si traduceva in India nella “trasformazione” di certe persone in esseri disgustosi e intoccabili. Una sorta di profezia che si autoavvera che, per secoli, ha tenuto in piedi un sistema basato su appartenenza ed esclusione e ha fomentato una politica del disgusto. Come la politica del disgusto che, prima in America, e oggi in Europa, ostacola la piena affermazione dei diritti delle coppie gay, accusate di essere “disordinate”, “contro natura”, “immonde”, “sporche” e, per questo, non meritevoli di alcun diritto matrimoniale. Come si vede, la politica del disgusto non è una cosa di paesi esotici e più o meno distanti geograficamente e culturalmente. E poi, come non ricordare che, ancora oggi, in Italia, avere un cognome come Esposito o Scognamiglio genera radicate aspettative negative legate ai pregiudizi diffusi nei confronti dei meridionali? Certo, niente a che fare con il sistema indiano. Ma anche un sistema come quello italiano, nel suo piccolo, sa generare profezie locali che si autoavverano.

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