Ancora sugli errori di traduzione a scopo propagandistico

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Continuando nella mia segnalazione degli errori di traduzione utilizzati a scopo propagandistico (i precedenti sono qui e qui) tratti dal libro di Arthur Ponsonby, Falsehood in War-Time, riporto qui sotto un breve estratto dell’introduzione. Ponsonby indica l’esistenza, in guerra, di vari tipi di “menzogne”. La menzogna di Stato, orchestrata per motivare i cittadini in patria e confondere il nemico. La menzogna architettata da una singola mente geniale. La voce che, pur priva di ogni fondamento, viene lasciata circolare perché il Governo ne tragga vantaggio. L’esagerazione deliberata. L’omissione strategica di informazioni di rilievo. E, dopo altri, anche «l’errore di traduzione, che a volte scaturisce da un errore in buona fede, ma che più spesso è intenzionale».

Ponsonby fornisce al riguardo due rapidi esempi. Il primo è tratto dalla agony column del «Times» del 9 luglio 1915:

Jack F. G.: Se non sarai in cachi per il 20, non ti rivolgerò più la parola. Ethel M.

Il corrispondente da Berlino della «Cologne Gazette» trasmise invece:

Se non sarai in cachi per il 20, hacke ich dich zu Tode (“ti faccio a pezzi”).

Il secondo, più serio, ha invece uno scopo evidente che il lettore non farà fatica a comprendere:

Nel corso dell’embargo imposto alla Germania, circolò la voce secondo cui le malattie di cui soffrono i bambini si chiamano Die englische Krankheit a testimonianza perenne della crudeltà degli inglesi. In realtà, die englische Krankheit è, ed è sempre stata, l’espressione comune tedesca per riferirsi al rachitismo.

Che è un po’ come dire che, dal momento che la sifilide in Italia veniva chiamata “Mal francese”, i francesi sono esseri immondi e pericolosi. Non c’è che dire. Nelle situazioni di panico, ogni cosa può essere adoperata per la propria causa. Anche se è un banale errore di traduzione.

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