Pareidolie tra gli aborigeni australiani

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Nel mio libro Bizzarre illusioni, ho fatto notare come le illusioni di cui siamo vittime non siano quasi mai casuali, ma si “ispirino” ai nostri sistemi di credenze (non solo religiosi) che ci “suggeriscono” che cosa vedere. Non è un caso, ad esempio, che i cattolici vedano nella macchie di umidità sui muri figure che hanno a che vedere con la loro religione (Gesù, la Madonna ecc.),  mentre gli islamici vedono immagini o personaggi legati alle loro credenze. Una riprova di ciò è data da un brano contenuto in un saggio dell’antropologo Clifford Geertz “Il senso comune come sistema culturale” che discute di ciò che vedono gli aborigeni australiani nella natura che li circonda:

Tra gli aborigeni australiani […] tutta una serie di caratteristiche del paesaggio fisico è vista come risultato delle attività degli antenati totemici — principalmente i canguri, gli emù, i bruchi, i serpenti e simili — compiute in quel tempo fuori dal tempo definito solitamente come mitico. […] Da questa prospettiva una collina rocciosa o anche un sasso possono essere visti come un antenato cristallizzato (non è morto, dicono gli informatori, ha cessato di muoversi ed è «divenuto parte della campagna»; una pozza d’acqua, o anche un intero spiazzo per accamparsi possono essere visti come l’impronta lasciata dalle natiche di un antenato che durante i suoi vagabondaggi si era seduto là a riposare; e molti altri tipi di oggetti materiali — tavole ovali e croci — si considerano espulsi dal ventre di qualche canguro o serpente primordiale e «lasciati dietro» mentre avanzava (Geertz, C., 1988, Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna, p. 108).

Come i cattolici, dunque, vedono un riflesso sacro in una pozza d’acqua, gli australiani vedono l’impronta della natica di un antenato. Ci sono allora pareidolie più degne e altre meno degne? Sebbene la tentazione ci sia – e del resto chi sostiene una religione crede sempre di essere nel giusto a differenza degli altri – la psicologia delle illusioni ci insegna che chi ha una credenza, indipendentemente da quale essa sia, è propenso a “vedere” cose. La pareidolia, dunque, è un fenomeno “democratico”. Ma anche artisticamente creativo. Basti pensare al “Viso paranoico” (1935) di Salvador Dalì ispirato a una cartolina ritraente un villaggio africano. Come si vede, per avere una esperienza pareidolica, non è necessario essere credenti!

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