Violenza e hockey su ghiaccio

La violenza è comunemente ritenuta un elemento estraneo allo sport, una escrescenza aberrante che ne insidia la purezza e ne sovverte il significato. Non a caso, in occasione di tafferugli associati a eventi calcistici, si sente spesso il commento “il calcio è solo un gioco”, un luogo comune, ormai, che marca l’assoluta inconciliabilità dello sport nazionale italiano con qualsiasi forma di violenza.

Eppure, alcune manifestazioni di violenza sono non solo presenti endemicamente in determinati  sport, ma ne costituiscono un elemento funzionale ed essenziale, come spiega  Kenneth Colburn, autore di “Honour, ritual and violence in ice hockey” (The Canadian Journal of Sociology, 1985, pp. 153-170.) Il tema del saggio di Colburn riguarda le cosiddette “scazzottate” (fistfights in inglese) nell’hockey su ghiaccio, sport nel quale i contatti fisici duri rappresentano una costante caratteristica. Secondo Colburn, i fistfights rappresentano un vero e proprio rituale sociale la cui finalità principale, al di là dei brutali confronti tra i giocatori, è la celebrazione dei valori dell’onore e del rispetto reciproco tra contendenti in un contesto caratterizzato dal rispetto delle regole del gioco. La tesi di Colburn potrebbe apparire paradossale, ma l’autore ne spiega il senso in maniera convincente.

In primo luogo, sulla base di osservazioni etnografiche, Colburn nota che, dal punto di vista dei giocatori, le scazzottate sono aggressioni legittime. Esse vanno distinte dai cosiddetti “colpi bassi” (cheap shots), che sono aggressioni violente eseguite in maniera sleale, lontano dagli sguardi degli arbitri, che non consentono alla vittima la possibilità di reagire. Al contrario, le scazzottate sono eventi normali, una parte comunemente accettata del gioco, un esempio di ciò che i sociologi, in relazione ad altri contesti, definiscono “devianza normale”. Esse sono formalmente proibite (nel senso che ci sono regole ufficiali che le proibiscono) e formalmente sanzionate. Ma la sanzione (un paio di minuti nella zona di rigore) è lieve, così che, in pratica, queste condotte sono tollerate. La distinzione tra scazzottate e colpi bassi è concepita non solo in riferimento alla diversa entità dei danni causati, ma anche al diritto morale e all’obbligo di giocare e vincere in base alle regole del gioco. I colpi bassi rappresentano una forma di violenza caratterizzata dal tentativo di conseguire un vantaggio contro e al di là delle regole del gioco. Viceversa, la scazzottata ha luogo alla luce del giorno in un contesto percepito come equo. In questo modo, essa conferma il valore insito nel giocare secondo le regole nel momento stesso in cui infrange una di esse.

In secondo luogo, Colburn spiega il valore funzionale positivo della scazzottata, la sua normalità e necessità, affermando che essa è un rituale sociale essenziale nell’hockey su ghiaccio. Al riguardo, egli adopera la distinzione di Parsons tra funzioni strumentali e funzioni espressive dell’azione sociale. Sebbene non abbiano alcuno scopo strumentale (non essendo finalizzate a nuocere in alcun modo ai giocatori coinvolti), le scazzottate contribuiscono alla solidarietà sociale affermando simbolicamente i valori collettivi dell’hockey, pubblicamente evocati dagli stessi giocatori e condivisi come fatti positivi. Esse svolgono, in altre parole, una funzione espressiva. A tal proposito, sono da segnalare tre aspetti.

  1. Le scazzottate costituiscono un modello istituzionalizzato di azione (o protocollo di condotta) basato su aspettative normative che governano due ruoli (lo sfidante e lo sfidato) nel contesto di una sequenza prevista di azioni e sanzioni.
  2. Le scazzottate simboleggiano l’onore derivante dal giocare secondo le regole del gioco. Ciò vuol dire seguire la norma di equità che incarna il rispetto per l’avversario. I colpi bassi costituiscono una violazione perché vengono meno alla norma del rispetto per l’avversario. Come nel duello, non importa chi vince. Ciò che importa è essere un “vero” giocatore di hockey. Per dirla con Colburn: «l’onore del giocatore […] è la rappresentazione simbolica di una credenza sacra: ossia, il valore attribuito dai contendenti al rispetto delle regole del gioco». La scazzottata è la traduzione simbolica di questo valore: è un invito a riconoscere le regole come condizione per impegnarsi nella competizione Il fatto che la mazza da hockey e la lama per il pattinaggio siano armi potenzialmente letali contribuisce a evidenziare ulteriormente ciò che potrebbe accadere sul campo se l’ordine sociale rappresentato dal rispetto delle regole del gioco venisse meno.
  3. Le scazzottate si presentano come esibizione pubblica; togliersi i guanti trasforma la disputa derivante da un colpo basso da privata a pubblica.

In terzo luogo, Colburn conclude sottolineando il carattere funzionale delle scazzottate. Imponendo simbolicamente e pubblicamente la norma non scritta del rispetto tra contendenti, le scazzottate ristabiliscono nei giocatori la fiducia nel rispetto delle  regole del gioco. Inoltre, in un certo senso, le risse svolgono anche una funzione parzialmente strumentale in quanto rappresentano una modalità informale di controllo sociale da parte dei giocatori. A causa della velocità, della rapidità e della durezza degli scontri che caratterizzano l’hockey su ghiaccio, gli arbitri non rilevano tutte le infrazioni. Il controllo formale dell’incontro esercitato dagli arbitri viene, dunque, integrato dal controllo informale esercitato dai giocatori.

In definitiva, ciò che per un moralista potrebbe essere una semplice quanto brutale manifestazione di violenza, è interpretabile come una forma rituale e celebrativa di gioco leale, un modo per confermare la purezza delle regole insite nell’hockey su ghiaccio.

Per altre interpretazioni paradossali del ruolo della violenza nello sport e, in particolare, nel calcio, rimando al mio recente Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso (Meltemi, 2020).

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