Sulla lamentela “oggi si scrive troppo e si legge poco”

Arnheim lo dichiarò degno di lode. – Ormai ci son quasi soltanto scrittori, e pochissime persone che leggono, – proseguì. – Generale, s’è mai chiesto quanti libri si stampano all’anno? Se ben ricordo escono più di cento volumi al giorno nella sola Germania. E ogni anno si fondano più di mille giornali! Tutti scrivono; ognuno, se gli accomoda, si serve d’ogni pensiero come d’una sua proprietà; nessuno si occupa della responsabilità morale! (Musil, R., 1957, L’uomo senza qualità, Einaudi, Torino, p. 548).

Nel mondo della cultura, ci si lamenta spesso del fatto che ci sono più scrittori che lettori. “Tutti vogliono scrivere. Nessuno vuole leggere”. In Italia, questa lamentela assume spesso tinte nazionalistiche: “In Italia tutti vogliono scrivere, nessuno vuole più leggere”, come se si trattasse di un tarlo unicamente nostrano.

A indagare, si scopre che la rimostranza è riferita spesso da scrittori affermati, preoccupati non tanto per le possibili conseguenze nefaste del calo dei lettori, ma del calo delle vendite dei propri libri e della possibile concorrenza di esordienti pronti a insidiare il loro primato (anche se questa preoccupazione non la confesserebbero nemmeno sotto tortura).

C’è poi da intendersi sul significato di “leggere”. Per i letterati, il verbo “leggere” è da intendersi come una sineddoche (la figura retorica della parte per il tutto): vuol dire, cioè, leggere romanzi e poesie di scrittori affermati (o romanzi e poesie scritti da essi stessi). Se si è avidi lettori di fumetti, saggi, manuali, articoli scientifici e altro ancora non si è “veri lettori”. Per loro, una parte – romanzi e poesie – conta più di tutto il resto.

A mio avviso non c’è nulla di male nel fatto di scrivere e pubblicare. Il guaio è quando chi pubblica crede di essere un grande scrittore per questo solo fatto. C’è differenza tra scrivere ed essere “scrittori”. Così come pure tra leggere ed essere “lettori”.

Ma torniamo alla citazione in apertura. Come dimostra Musil, che scriveva nella prima metà del XX secolo, la lamentela del “si scrive troppo e si legge poco” è roba antica. Come è antica la protervia degli scrittori timorosi di vedere minacciate le proprie prerogative. E come accade a tante lamentele, ci dice più cose su chi si lamenta che su ciò di cui ci si lamenta.

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