Perché si dorme in chiesa (ancora)?

Ho già dedicato due post (vedi qui e qui) al piccolo sermone di Jonathan Swift (1667-1745), intitolato A Sermon upon sleeping in church, pubblicato postumo nel 1776, un curioso testo, solo apparentemente ozioso, dedicato a uno dei “misteri” più inquietanti della fede: perché le persone si addormentano in chiesa? E quali ne sono le cause?

Rimandando ai due post citati per alcune considerazioni generali, offro qui nella mia personale traduzione il testo dello scrittore irlandese, facendolo precedere da una breve introduzione che, unendo teologia e psicologia, mostra come le spiegazioni proposte da Swift sulla narcosi indotta dalle omelie trovino fondamento in alcune teorie della psicologia contemporanea sull’utilizzo delle risorse attentive e sui fenomeni del mind wandering e del decoupling.

La psicologia contemporanea ci insegna che noia e sonnolenza sono consustanziali alla preghiera e alla predicazione, che richiedono una energia più intensa per superare queste comprensibilissime reazioni umane alla monotonia e alla ripetitività. Il problema è che non tutti sono in grado di dedicarsi intensamente a una maggiore devozione; circostanza che rende la fruizione della predica una chimera religiosa difficilmente attingibile, se non un’impresa sovraumana.

E non basta nemmeno l’esortazione di Giovanni Paolo II, il quale, ad esempio, considerava la corona del rosario, pratica che, come è noto, pare favorire stati di coscienza appannata, «come espressione di quell’amore che non si stanca di tornare alla persona amata con effusioni che, pur simili nella manifestazione, sono sempre nuove per il sentimento che le pervade» (Rosarium Virginis Mariae). Nella realtà, sono tante le persone che abbandonano le loro relazioni amorose proprio perché trovano noiose e ripetitive le effusioni sempre simili dei loro partner.

Insomma, un testo estremamente attuale, ora leggibile gratuitamente e integralmente nella mia traduzione.

 

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