«Perché odio Capodanno» di Gramsci (ancora)

Le citano un po’ tutti, stamane, queste considerazioni di Gramsci sul Capodanno. Sarà per dare un tono intellettuale a una delle ricorrenze più ordinarie, sarà perché quello di quest’anno è un Capodanno speciale. Comunque sia, ho deciso di riprodurle anch’io. Soprattutto per ricordarmi che tra un anno e l’altro non c’è soluzione di continuità, che non si muta forma e pelle solo per qualche rintocco di orologio o un conto alla rovescia, che il calendario e le date sono una nostra invenzione che non dovremmo reificare e feticizzare come se esistessero di per sé, che le convenzioni sociali sono un nostro prodotto che un giorno potremmo anche disfare (come è già successo nella storia del tempo), che, insomma, niente è immutabile, anche se ci meravigliamo quando le cose mutano.

Non c’è soluzione di continuità tra un anno e l’altro. Dovremmo ricordarlo soprattutto in riferimento al 2020. Le cose non cambieranno magicamente per lo scarto meccanico di una lancetta. Però le convenzioni possono aiutarci a capire che è possibile cambiare marcia e dare un nuovo senso alla vita. Stabilire un nuovo inizio e una nuova fine. Ricominciare.

Che ogni mattino, dunque, sia un capodanno, come ci augura Antonio Gramsci in queste sue considerazioni troppo citate forse, ma indubbiamente stimolanti.

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.

E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.

Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.

Fonte: Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, «Avanti!», edizione torinese, rubrica “Sotto la Mole”.

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