Quei tweet dell’odio

Interessante ricerca quella realizzata da Vox – Osservatorio italiano sui diritti in collaborazione con le Università di Milano, Bari e Roma. Attraverso una metodologia innovativa e sette mesi di lavoro, Vox è riuscito, per il secondo anno consecutivo, ad esaminare il contenuto di quasi 2 milioni e 700 mila tweet prodotti in Italia rispetto a sei categorie sensibili – donne, omosessuali, immigrati, disabili, ebrei e musulmani – definendo una mappa geolocalizzata dell’intolleranza presente nel nostro paese. Come per il primo anno, il quadro che emerge non è rassicurante. L’Italia dei tweet appare notevolmente “insofferente” verso determinate categorie sociali.

I dati. Su 2,7 milioni di tweet, rilevati tra agosto 2015 e febbraio 2016, considerando 76 termini sensibili riferiti alle sei categorie citate, 412.716 hanno evidenziato un contenuto “negativo”. Tra questi ultimi, il 63% contiene termini “offensivi” verso le donne, il 10% verso i migranti, il 10,8% verso gli omosessuali, il 6,6% nei confronti degli islamici, il 6,4% contro le persone con disabilità, il 2,2% contro gli ebrei. Lombardia, Umbria e Lazio appaiono le regioni più “intolleranti”, mentre Valle d’Aosta, Molise e Basilicata quelle che odiano di meno. Milano e Roma, le città più intolleranti: donne, migranti, islamici e omosessuali le categorie più colpite.

I dati, come detto, sono preoccupanti, ma c’è anche da dire che, come è noto, i social, grazie alla possibilità di comunicare in maniera anonima e a distanza, favoriscono la disinibizione morale di chi offende. Come mostrano varie indagini in psicologia sociale, non è detto che un atteggiamento negativo si traduca in un comportamento altrettanto negativo. Inoltre, la ricerca non consente di contestualizzare i termini offensivi; contestualizzazione che consentirebbe di approfondire cause, tempi e luoghi del discorso di odio (Hate Speech, in inglese).

Resta il fatto che una parte dell’Italia odia e non ha remore a dirlo. Come riferisce Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, professore ordinario alla Facoltà di Medicina e Psicologia Sapienza Università di Roma:

La nostra mappa permette di individuare le zone in cui l’hate speech è stato maggiormente twittato. Questo ci consente di attivare campagne preventive sia attraverso l’elaborazione di materiali didattici e formativi sia attraverso interventi nelle scuole e incontri allargati con le realtà territoriali.

E di iniziative pedagogiche, da quello che appare, c’è davvero bisogno

 

 

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