L’ordine come giudizio sul disordine

Ogni forma di vita si basa su una precisa concezione di ordine e disordine. Ordiniamo il mondo in un certo modo e, per differenza, tutto ciò che non rientra nella nostra idea di ordine viene avvertito come disordine.

Il problema è che non esiste una unica forma di ordine, ma molteplici. Un altro problema è che, a dispetto di ciò, tendiamo a pensare il mondo come se la forma di ordine che gli imponiamo fosse unica e assoluta. Di qui, il fastidio, il disgusto, il livore, la rabbia nei confronti di coloro che mettono in discussione il nostro concetto di ordine, contrapponendogliene un’altra.

Così, chi non si adegua al nostro ordine morale viene definito “immorale”. Chi non si adegua ai nostri standard sessuali e di genere viene percepito come “pervertito”, “promiscuo”, “frocio” ecc. Chi non si conforma ai nostri criteri economici viene definito “ingenuo”, “disonesto”, incapace di giudizi equilibrati (quando, in realtà, non fa altro che obbedire a diversi criteri di economia). Chi non corrisponde ai nostri paradigmi emotivi diventa automaticamente “irrazionale”, “eccessivamente emotivo”, “volubile”, “imprevedibile” ecc.

Insomma, imporre un ordine al mondo significa contemporaneamente disegnare una mappa del disordine, luogo in cui amiamo confinare tutti quelli che non intendono o non sono in grado di condividere i nostri stessi standard morali, sessuali, economici, politici ecc.

È così, in fondo, che nascono razzismo, classismo, ageismo e altri ismi contemporanei: perché qualcuno ritiene che la propria forma di ordine sia l’unica possibile o accettabile e chiunque non vi si conformi ha, in sé, qualcosa di negativo, che, talvolta, lo rende poco umano.

Tutto ciò traspare anche in vari ambiti della vita quotidiana. I “vecchi” accusano i “giovani” di ascoltare “rumore” perché la loro idea di musica è diversa dalla loro. La cucina dei migranti è accusata di “puzzare” perché non si conferma agli standard culinari dei “locali”. Lo “zingaro” è accusato di “pigrizia” perché non si conferma agli ideali produttivistici del borghese. La donna che non corrisponde a determinati criteri di modestia e pudore viene definita “sfacciata”, “impudica”. E così via.

Ogni forma di ordine contiene in sé un’idea prescrittiva e ideale del mondo, che conduce inevitabilmente al giudizio negativo nei confronti di chi non la condivide. È difficile rinunciarvi, assumere una prospettiva relativistica, prospettica nei confronti del mondo. È più facile e cognitivamente più agevole parlare male, accusare e/o respingere chi si difforma dalla nostra idea di ordine. Perfino quando l’idea di ordine dell’altro potrebbe risultare più vantaggiosa della nostra perché più inclusiva.

L’idea di ordine è come un’abitudine. Una volta adottata è difficile sbarazzarsene e sostituirla con un’altra. Così come è difficile evitare di giudicare in base a quell’idea. Così, diventiamo tutti caricaturali casalinghe impazzite, ossessionate dalle pattine. E ci chiudiamo nella nostra idea assolutizzandola come un dogma.

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