L’idolatria dell’ambiente come nuova devozione

 “La fine del mondo è vicina”. “Il mondo è sull’orlo dell’estinzione”. “Il cambiamento climatico causerà miliardi di morti”. “Andremo tutti all’inferno per causa nostra”. “Il mondo ha poco più di dieci anni per porre un freno al cambiamento climatico”. “Homo sapiens potrebbe essere la causa della sesta estinzione”. “La nostra casa è in fiamme”.

Sembra che ormai l’allarmismo apocalittico sia la cifra più caratterizzante dell’ambientalismo odierno. Non c’è rapporto, articolo, convegno o banale discussione tra ecologisti che non termini con un monito catastrofico sul futuro dell’umanità, frequentissimamente tinto di macabro profetismo. La ricetta ideale per propagare un terrorismo paralizzante, generatore di ansia e ossessioni di ogni tipo.

Si pensi ai rapporti dell’IPCC (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, un organismo dell’ONU): geremiadi su geremiadi su disastri naturali, innalzamento del livello dei mari, desertificazione e degrado del suolo. Ma anche: siccità, uragani, cancellazione di foreste pluviali (compresa quella amazzonica), eventi meteorologici estremi, crollo dei sistemi alimentari, perdita di suolo, sprofondamento dei ghiacciai, aumento esponenziale del numero degli incendi, eventi critici irreversibili.

Il problema, come avverte Giulio Meotti, è che i rapporti dell’IPCC sono considerati dai media e dalla maggior parte dei decisori pubblici infallibili come un tempo la parola dei pontefici (Meotti, 2021, p. 4), nonostante i frequenti errori – con tanto di scuse posteriori – in essi contenuti e i toni spesso tutt’altro che scientifici con cui sono redatte alcune pagine.

I medesimi allarmismi compaiono in autori come David Wallace-West, il quale non esita a riferire che con l’aumento della temperatura di due gradi, «le calotte glaciali cominceranno a sciogliersi e a sfaldarsi, ci saranno quattrocento milioni di persone in più che avranno carenza d’acqua, le principali città delle fasce equatoriali diventeranno invivibili e le ondate di calore mieteranno migliaia di vittime ogni estate, anche alle latitudini settentrionali» (cit. in Shellenberger, 2021, p. 20). Se ne potrebbero citare tantissimi altri.

Insomma, un ambientalismo apocalittico la cui malattia infantile di elezione è il catastrofismo ipertrofico e la cui caratteristica dominante è una fortissima verve religiosa. Per dirla senza falsi pudori, l’ambientalismo è una religione (Environmentalism is a religion), come recita il titolo del breve intervento del 2003, qui da me tradotto in italiano, di Michael Crichton (1942-2008), scrittore acclamato, sceneggiatore, regista e produttore televisivo (ad esempio di: E.R. – Medici in prima linea), noto per romanzi come Jurassic Park (1990), da cui è stato tratto un celebre film di Steven Spielberg, Punto critico (1996) e Stato di paura (2004), che ripercorre le conseguenze nefaste dell’allarmismo ambientale in salsa eco-terroristica.

Che l’ambientalismo sia diventato una religione è oggi abbastanza evidente.

Tutto ciò che è “verde” (green, nella lingua dominante di oggi) attira magicamente su di sé ogni tipo di connotazione positiva. Tanto che l’aggettivo “verde” ha ormai preso il posto di “divino”. Dio è verde, senz’ombra di dubbio. Al tempo stesso, ogni evento meteorologico avverso è ricondotto a un’unica causa monoteistica: il riscaldamento globale, nuovo demone del nuovo pantheon religioso. Per cui: alluvioni? La colpa è del riscaldamento globale. Aridità? La colpa è del riscaldamento globale. Niente neve? La colpa è del riscaldamento globale. Troppa neve? La colpa è del riscaldamento globale. Bufere? La colpa è del riscaldamento globale. Assenza di piogge? La colpa è del riscaldamento globale. Una vera e propria religione monoteistica, insofferente di pensieri divergenti (eretici?) e altri “dei” (una volta, ad esempio, tutte le colpe erano addossate alle “contraddizioni del sistema”). Se nel Medioevo le calamità naturali venivano attribuite all’ira divina; oggi sono attribuite ai cambiamenti climatici, che probabilmente (e apocalitticamente) porranno termine al mondo per come lo conosciamo.

Di qui una visione binaria, manichea del mondo per cui il dibattito internazionale sul cambiamento climatico vede una inquietante polarizzazione tra quanti lo negano in ogni modo (i “reprobi”) e quanti ne esagerano gli esiti (i “virtuosi dantoniani”).

Essendo una religione, l’ambientalismo vanta un suo specifico clero: agitatori, giornalisti, banchieri, donne e uomini dello spettacolo, professori universitari, “esperti” di ogni genere, convertitisi in guru, sacerdoti, predicatori e profeti di sventura come Greta Thunberg, la giovanissima santona di questa religione, che affetta indignazione a favore di potenti e telecamere per le condizioni della nostra “casa”. «La protezione del pianeta Terra, la sopravvivenza di tutte le specie e la sostenibilità dei nostri ecosistemi è più di una missione, è la mia religione» afferma disinvoltamente Rajendra Pachauri, che ha guidato l’agenzia ONU per il clima (cit. in Meotti, 2021, p. 14). Non si fa nemmeno un tentativo di dissimulare la natura devozionale della questione. Anzi, più si ostentano toni curiali, più si è presi sul serio. Più si profetizza, più si guadagna credito. E non importa se le profezie non si realizzano. Come in tutti i culti, le credenze non vengono ostacolate dai fatti, perché non hanno nulla a che vedere con i fatti. E se i fatti non si piegano alle credenze, tanto peggio per loro!

L’ambientalismo presuppone un Eden originario, un paradiso incontaminato, una condizione prisca di unione con la natura, che sarebbe stata soppiantata dalla corruzione subentrata dopo che l’uomo ha mangiato il frutto dell’albero della conoscenza e ha cominciato a costruire il mondo a sua immagine e desiderio, dimenticando le proprie origini e idolatrando se stesso. L’uomo, evidentemente, nasce innocente per poi contaminarsi da solo. Una riedizione aggiornata (ma nemmeno tanto) della favola del buon selvaggio che serve a contrapporre fantasie spacciate per realtà antiche a fatti e avvenimenti della contemporaneità: un confronto da cui quest’ultima esce ovviamente con le ossa rotte. Perché… Ah, i bei tempi andati!!!

Come conseguenza di questo agire immondo – afferma Crichton sardonico – oggi siamo tutti peccatori, condannati alla morte fisica e spirituale, ossia all’estinzione, a meno che non cerchiamo la salvezza, che oggi ha il nome di sostenibilità. In ogni modo, la fine del mondo è vicina e imminente è il giorno del giudizio se non ci comportiamo bene, ossia se pecchiamo. Il problema è che ogni guru dell’ambiente ha la propria data fissata per la fine del mondo, il proprio “Envirogeddon” (l’Armageddon ecologica), che varia in continuazione in ragione delle mille sviste profetiche subite e degli umori e urgenze del momento. Il giorno esatto è sempre infinitamente aggiornabile. La credenza primigenia nel dogma apocalittico ne consente la replicabilità infinita.

La religione ecologista ha i propri giorni santi (la Giornata della Terra, la prima edizione della quale ebbe luogo nel 1970), i propri testi sacri (manifesti e bestseller inclusi), le proprie eresie (negazionisti, scettici e tutti quelli che non la vedono come i lider maximi), i propri giorni di digiuno (vegetariano e vegano) e astensione dal cibo (la carne), i propri incrollabili dogmi, il primo dei quali è che il cambiamento climatico è causato irrefutabilmente dall’uomo (il grande peccatore) e che, se non facciamo qualcosa subito, The end of the world is nigh.

Ormai la salvezza del pianeta è divenuta la nuova grande narrazione che tutti attendevano da quando narrazioni tradizionali come la religione cattolica e il marxismo sono crollati miseramente, riducendosi a capitoli di una storia passata (Lyotard, 1990).

Non ci resta che pentirci e chiedere indulgenza alla Madre Terra, che abbiamo offeso per secoli, per poi tentare di riparare al male da noi compiuto con adeguate azioni redentrici e, se possibile, masochisticamente autopunitive.

Ma abbiamo poco tempo per redimerci. La Terra ha i giorni contati

Riferimenti

Lyotard, J.-F., 1990, La condizione postmoderna, Feltrinelli, Milano

Meotti, G., 2021, Il dio verde. Ecolatria e ossessioni apocalittiche, Liberilibri, Macerata

Shellenberger, M., 2021, L’apocalisse può attendere, Marsilio, Venezia

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