Il Libro bianco sulle droghe

Il Libro Bianco sulle droghe è un rapporto indipendente sugli effetti del Testo Unico sugli stupefacenti (DPR 309/90) sul sistema penale, sui servizi, sulla salute delle persone che usano sostanze e sulla società. È promosso da varie importanti associazioni e organizzazioni, tra cui Antigone, CGIL, CNCA, Gruppo Abele, Associazione Luca Coscioni, ARCI e altre ancora.

Ogni anno viene presentato il 26 giugno, giornata mondiale delle droghe, e quest’anno è giunto alla tredicesima edizione. Fatto curioso: il testo viene pubblicato da Youcanprint, una piattaforma di self-publishing a dimostrazione del fatto che, in Italia, certi temi scomodi non vengono accolti dalle case editrici mainstream.

I risultati del rapporto sono spesso sorprendenti e ho l’impressione che raramente trovino ascolto presso le istituzioni:

1) Senza detenuti per spaccio o dichiarati tossicodipendenti non si avrebbero problemi di affollamento nelle carceri. Come recita il Libro: «Sui 56.196 detenuti presenti in carcere al 31 dicembre 2022 ben 12.147 lo erano a causa del solo art. 73 del Testo unico (spaccio). Altri 6.126 in associazione con l’art. 74 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope), solo 1.010 esclusivamente per l’art. 74. Si tratta del 34,3% del totale. Sostanzialmente il doppio delle media europea (18%) e molto di più di quella mondiale (22%)».

2) Il 30% dei detenuti entra in carcere per detenzione o piccolo spaccio. Non è vero quindi che “gli spacciatori non vanno in carcere”: sono invece il 28,3% degli ingressi totali, molti dei quali vi restano.

3) Vi è un numero record di detenuti che usano sostanze: più del 28% sono definiti “tossicodipendenti”.

4) Ciò porta a un intasamento della giustizia con oltre 230.000 fascicoli che ingolfano il lavoro dei tribunali

5) Le misure alternative, continuano a crescere, ma questa non è necessariamente una buona notizia. Come afferma il Libro: «Continua l’impetuosa crescita delle misure alternative, interrottasi solo nel 2020, quando si registrò un lieve calo. Dal 31 dicembre 2006 al 31 dicembre 2022 si è passati da 3.592 a 35.799 sottoposti a misura alternativa (+896,6%). Siamo abituati a vedere di buon occhio le misure alternative, che tra le altre cose hanno dimostrato una maggiore efficacia nell’abbattimento della recidiva rispetto alla detenzione. Tuttavia, l’aumento delle misure alternative non è andato di pari passo con la diminuzione della popolazione carceraria. Cosa significa? Che, come previsto da Stanley Cohen nel 1979, in un contesto di forte domanda di controllo sociale istituzionale gli strumenti di diversion e quelli di probation rischiano di ampliare l’area del controllo piuttosto che limitare quello coattivo-penitenziario». In altre parole, «le misure alternative alla detenzione possono diventare (e, nel nostro caso, potrebbero essere già diventate) misure alternative alla libertà».

6) Infine, si conferma l’incidenza molto marginale delle violazioni dell’art. 187 del Codice della Strada, ovvero guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. Dai dati disponibili, per quanto disomogenei (Polizia Stradale), si nota un sostanziale dimezzamento negli ultimi 10 anni delle violazioni dell’art. 187. Le violazioni accertate dalla Polizia Stradale a seguito di incidente rimangono a livelli molto bassi: 1,18% nel 2021 e salgono all’1,44% negli incidenti con lesioni.

A dispetto della retorica delle politiche repressive sulle droghe, queste producono sovraffollamento carcerario, forte controllo sociale istituzionale, intasamento della giustizia e miti come quello dei frequenti incidenti stradali per guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti.

E naturalmente non risolvono il problema della droga, anzi lo amplificano.

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