Il concetto di disorganizzazione sociale

William I. Thomas

In un post precedente, ho presentato la traduzione del testo che segna la nascita del cosiddetto Teorema di Thomas, uno dei “teoremi” più noti agli studiosi di scienze sociali, che recita “Se gli uomini definiscono reali certe situazioni, esse saranno reali nelle loro conseguenze”. Il Teorema di Thomas proviene da un libro di William I. Thomas e Dorothy Swayne Thomas intitolato The Child in America (1928), mai tradotto in italiano. È probabilmente per questa ragione che esso appare ancora oggi come una frase astratta, raramente inserita in contesto.

Più noto è invece Il contadino polacco in Europa e in America (1918-1920) dello stesso William I. Thomas e di Florian Znaniecki che, ancora oggi, è considerato un classico della sociologia mondiale, e della Scuola di Chicago in particolare, sia per il contenuto dell’opera, sia per i concetti e le definizioni proposte, ormai parte integrante del bagaglio conoscitivo delle scienze sociali, sia per la innovativa metodologia impiegata, basata sull’esame delle lettere che alcuni contadini polacchi, immigrati negli Stati Uniti, scrivevano a casa dall’America.

Il testo rappresenta una pietra miliare della storia della sociologia della devianza, in particolare per il concetto di “disorganizzazione sociale” in esso espresso. Tale concetto è al centro della cosiddetta “teoria ecologica”, secondo cui il comportamento degli individui che vivono in un determinato gruppo sociale è determinato in gran parte dalle caratteristiche socio-culturali del gruppo stesso e dell’area in cui si vive. Una idea innovativa, se consideriamo che, all’inizio del XX secolo, era prevalente il punto di vista secondo cui la devianza e la criminalità erano qualità proprie degli individui e non attributi dell’ambiente socio-culturale di vita.

Il concetto di “disorganizzazione sociale” rovescia la prospettiva individuale e biologica del crimine, sottolineando come le forme di “patologia sociale” – per usare un termine dell’epoca – possano essere spiegate facendo riferimento al venir meno della forza delle norme sociali che dovrebbero disciplinare il comportamento degli individui. Non a caso Thomas e Znaniecki definiscono la disorganizzazione sociale appunto come la “riduzione dell’influenza delle norme di comportamento sociale esistenti sui singoli membri del gruppo”. Ciò può avvenire quando: a) vi sia una socializzazione difettosa o mancante; b) vi siano deboli sanzioni per certi delitti; c) vi sia inefficienza o corruzione nell’apparato giudiziario.

Di seguito, la traduzione di un brano de Il contadino polacco in Europa e in America in cui viene presentato il concetto di “disorganizzazione sociale” e la sua relazione con altri importanti concetti della tradizione sociologica come quello di “atteggiamento” e quello di “valore sociale”.  Il brano è tratto dal sito del Mead Project, un sito che raccomando a tutti i sociologi interessati alle origini della propria disciplina.

Il concetto di disorganizzazione sociale, come sarà adoperato in questo e nei prossimi volumi, si riferisce innanzitutto alle istituzioni e solo in secondo luogo agli uomini. Come l’organizzazione del gruppo, incarnata in schemi di comportamento socialmente definiti, imposti normativamente agli individui, non coincide mai esattamente con l’organizzazione della vita dell’individuo, composta da schemi di comportamento personalmente definiti, allo stesso modo la disorganizzazione sociale non corrisponde mai esattamente alla disorganizzazione individuale. Anche se immaginassimo un gruppo privo di ogni differenziazione interna, ossia un gruppo in cui ogni membro adottasse tutte le norme di comportamento socialmente stabilite, e solo le norme di comportamento socialmente stabilite, come schemi della propria condotta, ogni membro definirebbe, comunque, questi schemi in maniera differente nel contesto della propria evoluzione personale e ne trarrebbe una organizzazione della vita differente, perché né il suo temperamento né la sua biografia sarebbero esattamente uguali a quelli degli altri membri. In realtà, un gruppo così uniforme è una mera finzione; perfino nei gruppi meno differenziati, troviamo norme di comportamento socialmente stabilite che si applicano espressamente solo a certe classi di individui e non sono utilizzabili da altri al fine di organizzare la propria condotta, e troviamo individui che, nell’organizzazione della propria condotta, adoperano schemi personali di propria invenzione oltre alle norme sociali stabilite dalla tradizione. Inoltre, il progredire della differenziazione sociale è accompagnato dal moltiplicarsi di istituzioni speciali, che consistono essenzialmente in una organizzazione sistematica di un certo numero di schemi socialmente selezionati per il conseguimento permanente di certi risultati. Questa organizzazione istituzionale e l’organizzazione della vita degli individui attraverso le cui attività l’istituzione si costruisce socialmente si sovrappongono in parte, ma un individuo non può costruire pienamente nel corso della sua vita l’intera organizzazione sistematica dell’istituzione giacché quest’ultima si basa sempre sulla collaborazione di molti, e, d’altra parte, ogni individuo ha molti interessi che esigono di essere organizzati al di fuori di questa istituzione particolare.

Vi è, naturalmente, una certa dipendenza reciproca tra l’organizzazione sociale e l’organizzazione della vita dell’individuo. Nella parte quarta, discuteremo dell’influenza che l’organizzazione sociale esercita sull’individuo. Vedremo in questo e nei seguenti volumi come l’organizzazione della vita dei singoli membri di un gruppo, soprattutto di quelli prominenti, influenzi l’organizzazione sociale. Ma la natura di questa influenza reciproca è una questione che deve essere studiata caso per caso, non un dogma da accogliere a priori.

Dobbiamo tenere a mente queste osservazioni, se intendiamo capire la questione della disorganizzazione sociale. Possiamo definire questa, in breve, come una riduzione dell’influenza delle norme di comportamento sociale esistenti sui singoli membri del gruppo. Questa riduzione può presentare innumerevoli gradi: dalla singola infrazione di una norma specifica compiuta da un solo individuo al disfacimento generale di tutte le istituzioni del gruppo. Ora, la disorganizzazione sociale, intesa in questo senso, non ha nessun rapporto univoco con la disorganizzazione individuale, che è definibile in termini di una riduzione della capacità dell’individuo di organizzare tutta la propria vita allo scopo di perseguire in maniera efficiente, graduale e continua i suoi interessi fondamentali. Un individuo che infranga alcune o la maggior parte delle norme sociali predominanti nel suo gruppo può agire in questo modo perché sta perdendo la capacità minima di organizzazione della vita richiesta dal conformismo sociale; ma potrebbe anche respingere gli schemi di comportamento imposti dal suo ambiente perché questi gli impediscono di pervenire a una organizzazione della vita più efficiente e completa. D’altronde, l’organizzazione sociale di un gruppo può essere molto solida e permanente nel senso che le norme e le istituzioni esistenti non sono in alcun modo contestate; tuttavia, ciò potrebbe derivare semplicemente dalla ristrettezza degli interessi dei membri del gruppo e avere come esito una organizzazione della vita molto rudimentale, meccanica e poco efficiente da parte di ogni singolo membro. Ovviamente, una solida organizzazione di gruppo potrebbe anche essere il prodotto di uno sforzo morale consapevole dei suoi membri e corrispondere, così, a un livello molto alto di organizzazione della vita di ognuno di essi. È, pertanto, impossibile inferire da una situazione di organizzazione o disorganizzazione sociale una organizzazione o disorganizzazione individuale, o viceversa. In altre parole, l’organizzazione sociale non coincide con la moralità individuale, né la disorganizzazione sociale corrisponde alla demoralizzazione individuale.

La disorganizzazione sociale non è un fenomeno eccezionale limitato ad alcuni periodi o società; è rinvenibile, almeno in parte, in ogni tempo e luogo, dal momento che in ogni tempo e luogo si verificano casi di individui che infrangono le norme sociali; casi che esercitano una influenza disgregatrice sulle istituzioni del gruppo e che, se non contrastati, possono moltiplicarsi e provocare il disfacimento totale di queste. Ma durante i periodi di stabilità sociale, questa continua disorganizzazione incipiente è ininterrottamente neutralizzata dalle attività del gruppo che rinforzano, con il contributo delle sanzioni sociali, la forza delle norme esistenti. La stabilità delle istituzioni del gruppo è, dunque, semplicemente un equilibrio dinamico di processi di disorganizzazione e riorganizzazione. Questo equilibrio viene turbato quando i processi di disorganizzazione non possono più essere tenuti a freno dai tentativi di rinforzare le norme esistenti. Segue un periodo di diffusa disorganizzazione, che può provocare la disgregazione totale del gruppo. Più frequentemente, però, tale processo è contrastato e interrotto prima che esso raggiunga il limite da un nuovo processo di riorganizzazione che, in questo caso, non consiste in un mero rinforzo della organizzazione che si sta sfaldando, ma nella produzione di nuovi schemi di comportamento e di nuove istituzioni più adatte alle mutate esigenze del gruppo; definiamo questa produzione di nuovi schemi e istituzioni ricostruzione sociale. La ricostruzione sociale è possibile solo perché, e nella misura in cui, durante il periodo di disorganizzazione sociale, una parte almeno dei membri del gruppo non diventano individualmente disorganizzati, ma, al contrario, tentano di trovare una nuova e più efficiente organizzazione della vita personale ed esprimono una parte almeno delle tendenze costruttive implicate nelle loro attività individuali nello sforzo di produrre nuove istituzioni sociali.

Studiando il processo di disorganizzazione sociale, dobbiamo, naturalmente, conformemente allo scopo principale di tutta la scienza, tentare di spiegarlo da un punto di vista causale, ossia scomporre la sua complessità concreta in fatti semplici assoggettabili a leggi più o meno generali del divenire causalmente determinato. Abbiamo visto nel primo volume (Nota metodologica) che, nel campo della realtà sociale, un fatto causale contiene tre componenti, ossia un effetto, sia esso individuale o sociale, ha sempre una causa complessa, che contiene un elemento individuale (soggettivo) e uno sociale (oggettivo). Abbiamo chiamato atteggiamenti gli elementi socio-psicologici soggettivi della realtà sociale e valori sociali gli elementi sociali oggettivi che si impongono all’individuo come dati e provocano la sua reazione. Se intendiamo spiegare causalmente l’emergere di un atteggiamento, dobbiamo ricordare che esso non è mai il prodotto esclusivo di un’influenza esterna, bensì di un’influenza esterna associata a un data tendenza o predisposizione, in altre parole, di un valore sociale che agisce su o, più precisamente, si collega a un atteggiamento preesistente. Se intendiamo spiegare causalmente l’emergere di un valore sociale – uno schema di comportamento, una istituzione, un prodotto materiale – non possiamo farlo rimandando semplicemente a un fenomeno psicologico soggettivo come la “volontà”,  l’“emozione” o la “riflessione”, ma dobbiamo considerare come parte della causa reale i dati sociali oggettivi preesistenti che, insieme alla tendenza soggettiva, hanno dato origine a questo effetto; in altre parole, dobbiamo spiegare il valore sociale in termini di un atteggiamento che agisce su o è influenzato da una valore sociale preesistente.

Se siamo interessati alla sola disorganizzazione, e lasciamo momentaneamente da parte il processo successivo di ricostruzione, il fenomeno che intendiamo spiegare è evidentemente la comparsa degli atteggiamenti che riducono l’efficienza delle norme esistenti di comportamento e che conducono, di conseguenza, al disfacimento delle istituzioni sociali. Ogni norma sociale è espressione di una data combinazione di certi atteggiamenti; se, invece di questi atteggiamenti, ne compaiono altri, l’influenza della norma risulta contrastata. Possono, dunque, esserci vari modi diversi in cui una norma può perdere la propria efficacia, e modi ancora più numerosi in cui una istituzione, che prevede sempre diversi schemi regolativi, può disfarsi. La spiegazione causale di qualsiasi caso di disorganizzazione sociale esige, dunque, che noi identifichiamo, innanzitutto, gli atteggiamenti particolari la cui comparsa si manifesta socialmente nella perdita di influenza delle norme sociali esistenti, per poi tentare di identificare le cause di questi atteggiamenti. Il nostro obiettivo dovrebbe essere, naturalmente, quello di scomporre l’apparente diversità e complessità di particolari processi sociali in un numero limitato di fatti causali più o meno generali, e questo obiettivo può essere realizzato, nello studio della disorganizzazione, se riscontriamo che la disgregazione di normedifferenti esistenti in una data società è la manifestazione oggettiva di atteggiamentisimili, ossia, in altre parole, che molti fenomeni dati, apparentemente diversi, di disorganizzazione possono essere causalmente spiegati allo stesso modo. Non possiamo scoprire tutte le leggi della disorganizzazione sociale, ossia non possiamo trovare le cause che producono disorganizzazione sociale sempre e ovunque; possiamo solo sperare di individuare le leggi del divenire socio-psicologico, cioè, trovare le cause che producono determinati atteggiamenti sempre e ovunque, e queste cause spiegheranno anche la disorganizzazione sociale in tutti quei casi in cui scopriremo che gli atteggiamenti prodotti da esse sono gli antefatti reali della disorganizzazione sociale, che il disgregamento di certe norme o istituzioni è semplicemente la manifestazione oggettiva, superficiale della comparsa di questi atteggiamenti. Il nostro compito è identico a quello del fisico o del chimico, che non tentano di identificare le leggi dei molteplici cambiamenti che si verificano nell’aspetto sensibile del nostro ambiente materiale, ma cercano le leggi dei processi più fondamentali e generali che dovrebbero essere all’origine di quei cambiamenti direttamente osservabili, e spiegano questi ultimi in termini causali solo nella misura in cui può essere dimostrato che essi sono le manifestazioni superficiali di effetti più profondi e causalmente spiegabili.

Nel prossimo capitolo, “La disorganizzazione della famiglia”, offriremo un esempio chiaro del nostro metodo, e analizzeremo in dettaglio i problemi sollevati da ogni documento, mostrando il processo attraverso cui perveniamo alle nostre conclusioni. Sarebbe, ovviamente, superfluo per il sociologo professionista e noioso per il lettore inesperto se proponessimo l’esposizione della nostra tecnica di ricerca in tutto il volume; nei capitoli che seguono, di conseguenza, formuleremo solo le conclusioni generali, fornendo, comunque, indicazioni sufficientemente dettagliate in modo da far comprendere in maniera chiara la rilevanza dei documenti.

Fonte originale:

William I. Thomas and Florian Znaniecki. “The Concept of Social Disorganization,” in Part II: Disorganization and Reorganization in Poland of The Polish Peasant in Europe and America II, New York: Dover Publications (1958): 1127-1133.

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