Ernesto Rossi e il calcio

Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso era in voga definire il calcio come ersatz religioso, oppio dei popoli con effetti più narcotizzanti di un rosario. Ancora oggi, il ginocchio di Messi può suscitare in un tifoso più apprensione della situazione politica del momento; la caviglia di Mbappé trasmettere più ansia dell’ultima crisi economica; i successi della propria squadra più entusiasmo della fine della fame nel mondo.

Sebbene i discorsi sul calcio come oppio del mondo siano concentrati nel periodo storico che ho indicato (oggi quasi più, nemmeno tra i critici più radicali, parlerebbe in questo modo del calcio; segno che forse l’opera di narcosi è perfettamente riuscita), già in precedenza gli intellettuali segnalavano l’importanza che il calcio occupava nella mente degli italiani.

Il 16 gennaio 1927 da Bergamo, dove si trovava, l’attivista e intellettuale antifascista Ernesto Rossi (1897-1967) scriveva allo storico e politico Gaetano Salvemini (1873-1957), in esilio in Francia:

Le folle che una volta credevamo «partecipassero» in qualche modo alla vita del paese, oggi partecipano con entusiasmo molto maggiore alle gare di football. Ogni settimana ci sono partite di calcio anche nelle più piccole cittadine. Migliaia di persone assistono per ore ed ore, in piedi, anche se piove, anche se nevica. Quando la squadra della città si muove per andarsi ad incontrare con quella di un’altra, centinaia di persone – anche poveri diavoli – la seguono. L’altra domenica che la squadra di qui è stata battuta s’aveva l’impressione d’un lutto collettivo. Ho visto piangere un giovane sotto i portici. Imprecazioni; discussioni eccitate. Non si parlava d’altro per la strada, ai caffè, alla trattoria. Ed è continuato per diversi giorni. Sembrava Caporetto, E la squadra di qui è di secondaria importanza. Che vuol farci? Il mio padrone di casa è un bravo uomo, già iscritto al partito socialista, tiene ancora il ritratto di Matteotti nella sua camera. Ma non pensa più ad altro che al football. Per il football fa sacrifici di tempo e di denaro. Parlargli di politica sarebbe tempo perso [Rossi, E. [1978], Guerra e dopoguerra. Lettere 1915-1930, a cura di G. Armani, Firenze, La Nuova Italia, p. 227] (cit. in Lupo, M., Emina, A., Benati, I. (a cura di), 2022, Visioni di gioco. Calcio e società da una prospettiva interdisciplinare, Il Mulino, Bologna p. 183).

Oggi le fonti di narcosi potenziale sono aumentate. Se non si piange per l’insuccesso della propria squadra, si discute dell’ultima affermazione dell’influencer, del battibecco tra tronisti, delle polemiche scatenate dall’opinionista di turno. Il partito ormai conta ben poco. E se non era capace di attirare le masse all’epoca di Rossi, figuriamoci adesso.  

Per altre considerazioni sulle funzioni del calcio nella nostra società, rimando al mio Hanno visto tutti! Nella mente del tifoso (Meltemi Editore, Milano, 2020).

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