Come la guerra ci trasforma

La guerra trasforma. Trasforma le persone in amici e nemici; le unioni in divisioni; il nostro in sempre-buono, il loro in sempre-cattivo; i confini in baluardi da difendere; la storia in un racconto che razionalizza e giustifica il conflitto. I nostri sono sempre più nostri; gli altri sempre più altri. Ciò che prima era attraente perché esotico diventa improvvisamente rancido e disgustoso. Tutto ciò che appartiene a noi, anche se non ci piace, diventa l’unica cosa che conta, l’unico tesoro da preservare, il “valore” per eccellenza. Non esistono più mezze misure: tutto appartiene a un polo o all’altro.

La guerra porta semplificazione. Forse è per questo che piace agli stolti. Agli stolti piacciono le cose semplici; agli stolti non piacciono i numeri superiori al due. E così il mondo si offre a una prepotente lettura binaria. Niente più complessità astruse. I libri sono facili da leggere, ora. E abbondano di figure e immagini: quelli della propaganda.

Non valgono i visi sorridenti, se sono quelli del nemico. Non vale l’intelligenza del nemico, le conquiste ottenute, i benefici apportati all’umanità, la bellezza delle sue opere d’arte o letterarie. Il nemico è nemico e basta e, se hai qualche dubbio, fattelo passare, se no rischi di essere accusato di tradimento. E se prima non ti piaceva uccidere e ti dicevano che uccidere era una cosa brutta, ora ti dicono il contrario: il sangue sparso del nemico è cosa buona e giusta e fa di te un eroe. La repulsione del sangue altrui, invece, fa di te un pusillanime. E “pacifista” diventa improvvisamente una parolaccia. “Pacifisti di merda” gridano anche i preti.

Quindi, se il nemico è il russo, anche la vodka e il caviale sono tuoi nemici, Tolstoj (che era un pacifista) e Dostoevskij diventano illeggibili, censurabili, mentre i turisti russi diventano potenziali spie da rimandare in patria (la loro).

La guerra trasforma. E trasforma tirando fuori il peggio di noi. Lo diceva il grande umanista Erasmo da Rotterdam (1466 o 1469 – 1536) in un brano del suo Lamento della pace:

[…] gran parte della pace consiste nel desiderarla sinceramente. Quanti hanno a cuore per davvero la pace colgono a volo ogni occasione per instaurarla; se ci sono ostacoli, li aggirano o li smussano; sopportano dure prove, purché un bene così grande rimanga intatto. Oggi, invece, costoro vanno in cerca di pretesti di guerra, tolgono di mezzo o fingono magari di ignorare ciò che indurrebbe alla concordia, amplificano ed esagerano quanto spinge alla guerra. Ho vergogna a riferire da che razza di futilità suscitano così immani tragedie e quanto minuscole siano le scintille con le quali provocano le catastrofi. Allora le offese patite tornano in mente a schiera e ognuno amplifica in cuor suo il proprio danno, ma nel contempo cade in una dimenticanza profonda dei benefici ricevuti, sicché giureresti che vogliono la guerra a ogni costo. E spesso è un privato interesse dei principi quello che trascina il mondo a prendere le armi, mentre in realtà la causa di guerra dovrebbe essere più che mai di interesse pubblico. Se poi non c’è causa di sorta, i motivi di rivalità se li inventano, abusando dei nomi dei paesi per attizzare l’odio: così i nobili, e anche taluni sacerdoti, rafforzano la plebe stolta nell’errore, per distorcerlo poi a proprio vantaggio. Così l’Inglese è nemico del Francese per il solo motivo che quello è Francese, lo Scozzese detesta l’Inglese solo perché è Scozzese, il Tedesco è in rotta col Francese, lo Spagnuolo con entrambi. Quale malvagità!

Quale malvagità che l’Ucraino detesti il Russo e il Russo l’Ucraino. Ma l’odio è l’essenza della guerra. È ciò in cui la guerra ci trasforma. La guerra ci trasforma in portatori di odio.

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