Ave Maria piena di grazia?

Tito Signorelli (1875 –1958), pastore della Chiesa metodista episcopale e sovraintendente della Chiesa Evangelica Metodista d’Italia, è oggi poco conosciuto, se non dimenticato. In vita fu molto attivo, non solo sul fronte religioso. Durante la Prima guerra mondiale, tenne una lunga serie di sermoni e conferenze in cui si scagliò più volte contro il militarismo e la violenza dilagante e si dedicò al miglioramento delle condizioni sociali ed economiche della sua comunità di riferimento.  

Dotato di un carattere forte ed energico, fu esponente di spicco della massoneria nonché scrittore prolifico, autore di libelli dissacranti contro vere e proprie istituzioni del cattolicesimo come la sacra sindone e il rosario.

Nel 1932, pubblicò Il Rosario. Studio storico-critico presso la Tipografia La Speranza di Roma in cui attaccò polemicamente e violentemente la “pia” tradizione del salterio di Maria che vuole che esso sia stato consegnato bell’e fatto nelle mani di san Domenico di Guzmam (1170-1221) direttamente dalla Beata Vergine.

L’attacco, condotto sulla base di precisi documenti storici e di una lettura non agiografica di quello che l’autore definisce un “oggetto papista”, costituisce ancora oggi una delle critiche più feroci alla Chiesa cattolica, seppure scagliata da parte del rappresentante di un movimento religioso – quello dei valdesi – che non conserva un buon ricordo dell’istituzione del rosario: sempre secondo la “pia tradizione”, infatti, il rosario fu adoperato dal fondatore dell’Ordine dei Frati Predicatori per sconfiggere gli eretici valdesi e albigesi. Signorelli, dunque, non era esattamente imparziale nella scrittura del suo studio storico-critico.

Nel suo libello, tuttavia, Signorelli evidenzia quello che, a suo avviso, è un importante errore di traduzione che avrebbe incoraggiato il mito di “Maria piena di grazie”, ancora oggi alla base del modo in cui i cattolici interpretano le “facoltà” della madre di Gesù.

Seguiamo il suo discorso:

È biblico quel «gratia plena», secondo la traduzione papista, con cui l’angelo Gabriele rivolse a Maria il proprio saluto nel dì dell’annunciazione?

No, non è biblico; è antibiblico, perciò eretico.

Il «gratia plena» è uno sproposito di s. Girolamo, con cui egli ha ritenuto di aver fedelmente tradotto la corrispondente voce verbale «checaritomène» del verbo greco «charizòmai» usata dall’evangelista Luca, nel suo Vangelo (I, 28).

Ora la parola «checaritomène» deve tradursi in latino «gratis dilecta», come traduce Teodoro Beza; e in italiano: «ricevuta in grazia», cioè «favorita», secondo la fedele traduzione del Diodati.

E così, invero, s. Girolamo nella «Vulgata» traduce in latino con «gratificavit» la stessa voce verbale greca «checaritomène» di cui si serve Paolo nella sua Epistola agli Efesi (I, 6) per insegnare agli Efesini e a noi che Cristo con la sua grazia ci ha resi «graziosi» a sé.

Dunque su di uno svarione di traduzione la chiesa papista incardina e ad un tempo detrae con arbitraria e quindi erronea esegesi, la leggenda di Maria piena di grazie da lei continuamente profuse con inesauribile generosità, in pioggia di rose – la Madonna delle rose – su tutti i veneratori e adoratori (pp. 49-50).

La beata Vergine, dunque, non sarebbe affatto “piena di grazia” e non potrebbe, perciò, intercedere a favore dei cristiani i quali, secondo la migliore tradizione protestante, non hanno il diritto di chiedere né a lei né ai santi di pregare per loro. Se pensiamo che il motivo dell’intercessione è alla base del culto della Madonna, ancora oggi vivissimo, e rappresenta l’essenza della preghiera del rosario, comprendiamo quanto la rivelazione di Signorelli sia distruttiva nei confronti del comune canone cattolico.

Gli specialisti del settore avranno modo di controbattere. Nel frattempo, non possiamo non rimanere esterrefatti dalle conseguenze che l’interpretazione apparentemente banale di una parola può avere su tutti noi. E pensare che c’è chi dice che le parole… sono solo parole.

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