“Siete solo mercenari”

Secondo la Treccani, mercenario è un termine che si usa «in epoca antica, e poi dalla fine del medioevo alla fine del sec. 18°, di soldati che esercitavano il mestiere delle armi mettendosi al soldo di chi li arruolava temporaneamente, e dei corpi armati che con essi venivano formati». In epoca moderna, invece, il termine indica un «soldato di professione che, per denaro, combatte al servizio di uno stato straniero, o anche di gruppi politici o economici».

“Siete solo dei mercenari” è l’accusa rivolta ai calciatori che, secondo i tifosi, non giocano secondo le aspettative o non si impegnano come dovrebbero. L’accusa è curiosa perché, da un certo punto di vista, i calciatori contemporanei non possono che essere mercenari. Essi, infatti, stipulano un contratto lavorativo, come tante altre categorie di lavoratori, e ricevono un compenso per le proprie prestazioni. Inoltre, non sono obbligati, per contratto, ad alcun rapporto affettivo con la squadra alla quale appartengono, né sono sottoposti a vincoli di fedeltà eterna. Ciò non toglie che non possano giocare con profitto per la propria squadra, così come, nel passato, i mercenari hanno spesso fatto vincere gli eserciti per i quali hanno combattuto, battendosi frequentemente meglio dei coscritti, nonostante la nota critica di Machiavelli, secondo il quale «se uno [principe] tiene lo stato suo fondato in sulle armi mercenarie, non starà mai fermo né sicuro; perché le sono disunite, ambiziose, senza disciplina, infedeli» (Il Principe, cap. XII).

Insomma, per quanto possa sembrare paradossale, i calciatori vincono e fanno vincere esattamente perché sono mercenari – professionisti che ricevono una paga per le proprie prestazioni e dedicano il proprio tempo ad allenarsi in vista della prestazione – e non dilettanti, ossia persone non professioniste che giocano gratis un paio di volte alla settimana senza allenarsi o allenandosi in maniera saltuaria.

Il pregiudizio comune nei confronti dei mercenari si spiega se analizziamo la prima definizione che la Treccani dà del termine: «Di persona che presta la propria opera dietro compenso, e al solo fine di essere pagata, senz’altro interesse che quello del guadagno; […]. Si riferisce di solito ad attività e prestazioni che dovrebbero essere svolte liberalmente, gratuitamente, o nelle quali il compenso non dovrebbe essere l’interesse principale». È qui il perno della questione: nell’immaginario popolare il calciatore svolge una attività che, essendo considerata un gioco, dovrebbe essere svolta liberamente o nella quale “il compenso non dovrebbe essere l’interesse principale”. In realtà, un calciatore che svolgesse la propria attività “liberamente” non riuscirebbe mai a sviluppare quelle abilità, competenze, capacità fisiche che distinguono i migliori calciatori. Soprattutto, avrebbe il problema di guadagnarsi da vivere in qualche modo; preoccupazione che lo porterebbe, evidentemente, a trovare un lavoro e, quindi, ad affidare al calcio un ruolo fondamentalmente residuale nella propria esistenza.

I tifosi di calcio dovrebbero augurarsi che i propri beniamini siano sempre “mercenari”, altrimenti correrebbero il rischio di dedicare il proprio tifo a bande di brocchi imbolsiti da lavori d’ufficio.

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