Non si è felici o infelici per sempre

Si è ormai generalmente d’accordo nelle scienze umane sul fatto che la felicità non è una dimensione assoluta, ma relativa. Non siamo felici “assolutamente”, ma perché, che ne siamo consapevoli o no, mettiamo a confronto la nostra condizione con quella di un tempo, con quella che crediamo di meritare e che, in qualche modo, ci aspettiamo dalla vita o con la felicità dei nostri vicini, parenti, colleghi di lavoro, amici ecc., cioè del nostro gruppo di riferimento. A questa prospettiva aderisce, in parte, il breve, interessantissimo articolo di Philip Brickman, Dan Coates e Ronnie Janoff-Bulman, intitolato “Lottery Winners and Accident Victims: Is Happiness Relative?”. L’articolo è del 1978, ma è ormai un classico delle scienze sociali, per cui vale davvero la pena soffermarsi sulla teoria in esso esposta.

Di solito, riteniamo che chi vince una grossa somma alla lotteria sia felice o, comunque, più felice della media. Al tempo stesso, riteniamo che chi è stato vittima di un incidente il cui esito sia una disabilità permanente sia “ovviamente” più infelice di chi è sano.  

Secondo Brickman e colleghi, invece, le cose non stanno in questi termini e lo dimostra uno studio da essi realizzato su tre gruppi di soggetti, uno composto da 22 vincitori della lotteria, uno composto da 29 individui rimasti paralizzati dopo un incidente e un gruppo di controllo composto da 22 individui. Contrariamente a quanto il senso comune porterebbe a credere, posti a confronto con i soggetti del gruppo di controllo, i vincitori della lotteria non sono risultati affatto più felici. Questo, secondo gli autori, avverrebbe in virtù di due principi che rimandano alla cosiddetta “teoria del livello di adattamento” secondo cui: «i giudizi delle persone sui loro livelli attuali di stimolazione dipendono dal fatto che la stimolazione sia maggiore o minore del livello di stimolazione al quale erano abituate» (p. 918). I due principi sono quello del “contrasto” (contrast) e quello dell’“assuefazione” (habituation).

In virtù del primo, la vittoria di una grossa somma di denaro – situazione biografica estrema – comporta un innalzamento del livello di adattamento, che fa sì che molti eventi ordinari, che prima davano piacere, sembrino meno soddisfacenti. Vincere un milione di dollari alla lotteria rende accessibili nuovi godimenti, ma, al tempo stesso, rende i vecchi meno interessanti. Per questo motivo, la disponibilità di nuove fonti di gratificazione è compensata dalla perdita di interesse per le vecchie. Così, se un tempo un individuo traeva piacere dal sorseggiare un vino dozzinale, oggi, potendosi permettere vini di grandi (e costose) marche, non ricaverà più piacere da bevande di scarsa qualità.

Il secondo principio è quello dell’assuefazione. Anche se inizialmente il vincitore della lotteria sperimenta sensazioni molto intense e appaganti a seguito dell’evento che ha cambiato la sua vita, tali sensazioni tendono a diminuire e a normalizzarsi con il tempo e contribuiscono sempre meno al livello generale di felicità. In altre parole, come prevede la teoria del livello di adattamento, se «tutte le cose sono giudicate dalla misura in cui si distanziano da una linea base (baseline) di esperienze pregresse, gradualmente anche gli eventi più positivi cesseranno di avere effetto e saranno riassorbiti dalla nuova linea base rispetto alla quale sono giudicati gli eventi successivi» (p. 918).

In sostanza, gli effetti di un colpo estremo di fortuna tendono a diminuire, nel breve periodo, in virtù dell’effetto di contrasto che riduce il piacere che si ricavava dagli eventi ordinari di un tempo, e, nel lungo periodo, grazie a un processo di assuefazione che erode l’effetto della fortuna.

Al contrario, l’infelicità degli individui che subiscono un’avversità responsabile, ad esempio, di una paraplegia o quadriplegia, può, nel breve periodo, essere alleviata in virtù del principio di contrasto che accresce l’effetto dei godimenti ordinari e li pone a confronto con l’ancora estremamente negativa dell’incidente. Nel lungo periodo, l’infelicità è mitigata da un processo di assuefazione che erode l’impatto dell’incidente stesso. Secondo Brickman e colleghi, nel caso dei 29 soggetti rimasti paralizzati dopo un incidente, l’effetto di contrasto si realizza anche in un altro senso: gli “sfortunati” idealizzano il passato in confronto alla condizione attuale, accrescendo così la propria infelicità.

La teoria del livello di adattamento smaschera l’idea secondo cui i milionari sono sempre felici e gli sfortunati sempre infelici. L’effetto di contrasto e il principio dell’assuefazione indicano chiaramente che, a un certo punto, anche la più intensa felicità o infelicità tende a normalizzarsi.

Perché, allora, crediamo che i milionari siano permanentemente più felici di noi? Perché probabilmente – ma questo Brickman, Coates e Janoff-Bulman non lo dicono – attribuiamo a essi la gioia che proveremmo se dovessimo diventare improvvisamente ricchi, immaginando che debba essere eterna. In realtà, gli studi della mente umana ci dicono che nessuna emozione, bella o brutta che sia, può durare con la stessa intensità per sempre.

Solo che ci piace pensare che sia così. E continuiamo a invidiare chi è più ricco di noi.

Fonte: Brickman, P., Coates, D., Janoff-Bulman, Ronnie (1978). “Lottery Winners and Accident Victims”, Journal of Personality and Social Psychology, vol. 36, n. 8, pp. 917-927.

L’articolo è disponibile qui in inglese.

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