La retorica del cretino

Sono cretini gli elettori britannici che il 12 dicembre scorso hanno permesso al leader conservatore Boris Johnson di ottenere una vittoria straripante e la maggioranza al Parlamento inglese? A sentire alcuni commenti, sembrerebbe di sì. Gli inglesi, sostengono alcuni opinionisti, sono ingenuamente caduti nella trappola di una propaganda becera e tutta centrata sulle emozioni; una propaganda capace di semplificare con il tritacarne concetti complessi per poi convertirli in slogan da omogeneizzato facilissimi da assimilare. Se solo avessero riflettuto prima di entrare nella cabina elettorale, il loro voto sarebbe stato diverso. Così come sarebbe stato diverso, se solo avessero letto libri, invece di guardare bovinamente la televisione. Insomma, la vittoria di Johnson rappresenterebbe la vittoria dell’oscurantismo sulla ragione, della pancia sul cervello, del risentimento sulla comprensione, dell’ignoranza sulla cultura.

Per quanto non nutra alcuna simpatia per Boris Johnson e il fenomeno Brexit, confesso che trovo irritante questa diffusa “retorica del cretino”, una retorica che si attiva praticamente a ogni appuntamento elettorale e che suddivide invariabilmente coloro che votano in “intelligenti” e “cretini”. Naturalmente, il cretino è sempre l’altro, quello che vota in maniera diversa da me, che non vede il mondo come lo vedo io, che ragiona in modo differente da come ragiono io. Così, per il solo fatto di essere diverso, l’altro diventa “cretino”, un termine prêt-à-porter, buono per ogni occasione, utile a liquidare sbrigativamente l’avversario dall’alto di un giudizio di inferiorità presunta.

Il problema del “cretino” è che il termine viene lanciato sull’altro come un maglio spaccatutto che riduce l’avversario a un essere insignificante di cui non vale nemmeno la pena ascoltare l’opinione, perché tanto è “cretino”. Derubricando il discorso dell’altro a biascichio mentale, a uno stato di imbecillità perpetua, finiamo, però, con il non intenderne le ragioni, le paure, i valori, il modo di interpretare le cose, condannandoci a una visione tanto ottusa del mondo quanto rigidamente dicotomica.

La retorica del cretino, a ben vedere, è essa stessa propaganda di parte, veleno seducente che mira a conquistare gli animi (e i voti), illudendo gli elettori di saperla lunga rispetto agli oppositori, di essere smart anziché dumb, individui illuminati anziché vegetali passivi. La sua conseguenza più letale è che, aderendovi acriticamente, rafforziamo steccati e divisioni, sviliamo l’altro in quanto altro e ci condanniamo, sotto l’egida di una ingombrante ingiuria che non ammette repliche, a fraintendere in eterno chi la pensa diversamente da noi.

Chiamare l’altro cretino è facile. Ma conviene davvero?

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