La Condamine e le obiezioni all’inoculazione contro il vaiolo

Paure e obiezioni contemporanee alla vaccinazione non sono molto dissimili da quelle sperimentate dagli europei del XVIII secolo. Lo testimonia nella risposta al quesito “Per quali motivi morali e religiosi sarebbe lecito opporsi all’inoculazione?” il matematico francese Charles de La Condamine (1701-1774), autore della Memoria sull’innesto del vaiolo, letta all’Accademia reale delle scienze il 24 aprile 1754.

Prima obiezione posta all’attenzione di La Condamine: «Somministrare una malattia a chi ne è privo o tentare di evitarla a colui che vi è naturalmente destinato per ordine della Provvidenza non è un’usurpazione dei diritti della divinità?». La Condamine risponde collocandosi sul piano della semplice logica:

Tale obiezione, se così possiamo definirla, è propria dei fatalisti e dei predestinazionisti più intransigenti. Si potrebbe rispondere loro che colui che viene inoculato era predestinato all’inoculazione, e che inoculandolo non si è fatto altro che adempiere i decreti della Provvidenza […]. Coloro che la pensano così, se agissero in maniera coerente, dovrebbero proibire tutte le forme di precauzione e di prevenzione […]. È la Provvidenza che ci offre questo rimedio: non la offendiamo se rifiutiamo con sdegno i suoi doni?

La Condamine aggiunge che, nel 1723, nove dottori della Sorbonne si erano pronunciati a favore dell’inoculazione e puntualizza che la provenienza protestante del procedimento non poteva precluderne l’accesso ai cattolici.

Seconda obiezione: «Non è lecito imporre una malattia crudele e pericolosa a una persona che forse non l’avrebbe mai contratta». Questa volta la risposta si basa sull’osservazione dei fatti: l’esperienza mostra che l’inoculazione non è crudele né pericolosa. Inoltre, è falso affermare che forse gli inoculati non avrebbero mai contratto la malattia, giacché «il vaiolo è un morbo che si può ritenere generale […] il numero di coloro che arrivano alla vecchiaia senza averlo avuto è talmente ristretto che essi costituiscono a malapena un’eccezione alla legge comune».

Terza obiezione: l’inoculazione è un male morale ed eccone la prova. «È innegabile che qualcuno è morto in seguito all’inoculazione, per cui questo metodo non è infallibile. Pertanto, non ci si può sottoporre ad essa senza rischiare la vita, di cui non è lecito disporre: l’inoculazione lede i princìpi della morale». Risposta: la pratica del salasso provoca più vittime, eppure non vi si rinuncia; tutti i rimedi sono dei «mali artificiali» ed è immorale rifiutare di correre un rischio minimo per evitare un rischio mortale. È una questione di statistica e di buon senso:

Qui non c’entrano più la morale o la teologia, è questione di calcolo: guardiamoci dal trarre un caso di coscienza da un problema di aritmetica. […] Il rischio di morte a cui ci si espone attendendo dalla natura il funesto dono del vaiolo è di 9 su 60, vale a dire più di un ottavo; il rischio di morire in seguito a un’inoculazione è valutato in 1 su 376 su più di 6000 casi esaminati […]. È dunque dimostrato, in tutto il rigore di questo termine, che chiunque non inoculi suo figlio, con il pretesto di non mettere a repentaglio la sua vita, rischia almeno dieci volte di più che inoculandolo.

Conclusione: «Né la religione né la morale proibiscono ciò che consigliano la ragione e il buon senso». Per la prima volta, argomentazioni morali e teologiche vengono confutate per mezzo delle statistiche. La Condamine utilizza poi l’immagine della lotteria, un’immagine poco ortodossa ma molto eloquente:

Tale è la sorte dell’umanità: più di un terzo di coloro che nascono sono destinati a morire entro il primo anno di vita per mali incurabili o quanto meno ignoti; sfuggiti a questo primo pericolo, il rischio di morire di vaiolo diventa per loro inevitabile, un rischio che si estende su tutto il corso della vita e che cresce a ogni istante. È una lotteria obbligata, in cui siamo coinvolti nostro malgrado: ciascuno di noi ha il suo biglietto; più tarda a uscire dalla ruota, più il rischio aumenta. A Parigi, in un anno, vengono estratti 1400 biglietti neri il cui premio è la morte. Che cosa accade se pratichiamo l’inoculazione? Cambiamo le condizioni di questa lotteria, diminuendo il numero dei biglietti funesti: uno su sette o, nei climi più favorevoli, uno su dieci era fatale; ora non ne resta che uno su trecento o uno su cinquecento; ben presto non ne rimarrà che uno su mille […]. La natura ci decimava, l’arte ci millesima.

La Condamine aggiunge un argomento patriottico: vogliamo essere più stupidi degli inglesi, che non hanno esitato a mutuare il principio dell’inoculazione «da un popolo ignorante», i turchi? E viene il ritornello sui progressi dell’intelligenza umana e sullo spirito dei Lumi che sconfigge l’oscurantismo, la superstizione, il pregiudizio e il fanatismo. In sostanza la teologia e la medicina devono unirsi per educare il popolo e diffondere i benefìci dell’inoculazione:

Spetta dunque alle Facoltà di teologia e di medicina, alle accademie, ai capi della magistratura, ai dotti, agli uomini di lettere «bandire gli scrupoli fomentati dall’ignoranza e far capire al popolo che per la sua stessa utilità, per la carità cristiana […] è necessario che si metta in atto l’inoculazione» (Minois, G., 2016, Il prete e il medico. Fra religione, scienza e coscienza, Edizioni Dedalo, Bari, pp. 261-263).

Le risposte fornite da La Condamine alle obiezioni poste dagli antivaccinisti del XVIII secolo sono praticamente le stesse di quelle fornite dagli antivaccinisti odierni. Sono trascorsi quasi tre secoli dall’epidemia di vaiolo che spinse il matematico francese a scrivere la sua memoria, ma sembra che sia cambiato ben poco da allora. Perfino le obiezioni nazionalistiche e teologiche, che tenderemmo a ritenere superate, sono ancora oggi rilanciate da qualcuno: pensiamo alle discussioni sul modello cinese di fronteggiare il virus del Covid-19 contrapposto al modello italiano o europeo di gestione della crisi. Pensiamo all’attribuzione del manifestarsi dell’epidemia alla cieca volontà divina che, ancora oggi, predicatori di ogni tipo strombazzano in giro.

Insomma, l’antropologia fondamentale dell’uomo non sembra mutata di molto nel corso dei secoli, anche se le parvenze della storia ci illudono altrimenti.

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