Il prete come fortune-teller

Trovandomi in chiesa in compagnia di un fedele intento a seguire la messa domenicale, a metà circa del rito, sento il prete declamare: «Pregate. Non abbiate timore di pregare. Dio ascolterà sempre le vostre preghiere e le esaudirà. Ciò potrà accadere tra un giorno, tra un mese, tra un anno. Non importa. Se avrete fede, se continuerete a credere, se concederete a Dio la vostra fiducia, le vostre preghiere saranno ascoltate. Prima o poi, le vostre richieste troveranno risposta». Queste parole mi colpiscono. Non perché trovino una qualche risonanza nella mia mente atea, nel mio cuore di scettico inveterato, ma perché mi rendo conto che il prete – e penso di poter dire i preti – ha appena adottato uno dei più comuni stratagemmi adoperati da indovini e sensitivi per convincere i loro clienti della bontà dei loro vaticini.

Il “trucco” funziona in questo modo: si propone al credente una predizione vaga e temporalmente ambigua (“Tra qualche mese incontrerai l’uomo della tua vita”; “Vedo che la fortuna presto ti arriderà”; “Sii paziente e i tuoi problemi avranno presto termine”). Proprio per la sua vaghezza, la predizione diventa praticamente infalsificabile ed è sempre suscettibile di “avverarsi” in riferimento a un evento futuro di qualche tipo. In questo senso,  ogni richiesta di maggior precisione da parte del cliente può sempre essere rimandata a un tempo indefinito. Naturalmente, ampliando a dismisura la cornice temporale di riferimento, c’è sempre la possibilità che, prima o poi, qualcosa accada davvero: un uomo può davvero materializzarsi nella vita di una donna delusa da precedenti storie sentimentali; un rovescio di fortuna può davvero raddrizzarsi; i problemi, prima o poi, hanno termine. Ciò finirà con il rafforzare la credenza nell’abilità del sensitivo, che così ne verrà fuori sempre vincitore. Il cliente, in altre parole, farà  leva, inconsapevolmente, sulla ambiguità temporale del vaticinio per accreditare, sempre inconsapevolmente, le capacità dell’indovino, il quale, così, vedrà sempre più aumentato il suo “status professionale”.

Lo stesso accade nella religione. Quando il prete informa il fedele che le sue preghiere troveranno risposta un giorno perché Dio non dimentica chi ripone fede in lui, non fa altro che allargare la cornice temporale di riferimento della sua affermazione per farvi rientrare il maggior numero possibile di “eventi”, alcuni dei quali saranno interpretabili come “risposta” alla preghiera del fervente. In questo modo, le “abilità” di Dio saranno confermate e la sua grazia ulteriormente accreditata. Del resto, è noto che, in ambito religioso, letteralmente ogni evento può ricevere un significato divino: ad esempio, se una persona muore in giovane età, il sacerdote potrà sempre affermare che il trapassato è stato “chiamato da Dio” perché ha assolto il suo compito su questa terra. Se la stessa persona muore in età avanzata, lo stesso sacerdote potrà argomentare che Dio gli ha concesso una lunga vita. Se una donna non ha figli, il sacerdote potrà dirle che Dio intende sottoporla a una prova; se ne ha, che Dio le ha concesso una grazia. Ogni evento è suscettibile di acquistare un significato religioso.

È così che la religione, come la magia, sopravvive. Entrambe basano la propria fortuna sulla vaghezza dei contenuti e sulla indefinitezza della cornice temporale di riferimento. Insomma, non c’è poi tanta differenza tra il sacerdote e il fortune-teller. Il resto lo fa quella condizione psicologica che chiamiamo “fede”.

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