Sono in auto. Il semaforo è verde, ma l’autovettura che mi precede non dà segno di muoversi. Il tempo passa. Le auto dietro di me cominciano a suonare ferocemente il clacson. “E dai muoviti”, sbraito all’indirizzo del conducente. “Datti una mossa. Non vedi che è verde?”. I clacson impazzano. “Stupido, perché non ti muovi?”. Volano termini offensivi. L’idiozia del primo conducente è ormai acclarata.
Dopo poco, lo vedo uscire dall’abitacolo. Si avvicina a qualcosa che è davanti al cofano della sua auto. Ci vuole ancora un po’ per capire che cosa sta succedendo. Una giovane di nemmeno trent’anni giace al suolo svenuta. Capito il motivo dell’immobilità, gli altri conducenti smettono di suonare il clacson. Ai loro occhi, il primo autista non è più uno stupido, ma un benefattore che ha prestato aiuto a una donna in difficoltà. Risolto il problema, il traffico riprende a scorrere e tutti, chiusi nei loro abitacoli, commentano l’accaduto.
Ci capita spesso di tacciare di stupidità un comportamento che non comprendiamo. Avviene quotidianamente. Una condotta che non risponde alle nostre aspettative e che non appare avere una immediata spiegazione sensata stimola in noi accuse di stupidità. Gli automobilisti ne offrono continuamente testimonianza. Ma lo stesso accade in altre dimensioni della vita quotidiana. Così, accusiamo di stupidità il concorrente del telequiz per non aver saputo rispondere a una domanda per noi facilissima, dimenticando che fattori quali l’emozione, la pressione del tempo che scorre, un’amnesia momentanea potrebbero essere responsabili della “clamorosa” défaillance. Ci irritiamo per lo “stupido” che cammina goffamente davanti a noi, intralciando il nostro passo, salvo poi renderci conto che la goffaggine è dovuta alla sua cecità.
La stupidità è una funzione della situazione e delle categorie cognitive attraverso cui la interpretiamo. Contrariamente a quanto sostengono i dizionari, essa non si esaurisce in manifestazioni di scarsa intelligenza, lentezza e fatica nell’apprendere, ottusità di mente. Stupido è talvolta semplicemente chi compie un’azione che non comprendiamo. La stessa azione, una volta compresa, non ci appare più stupida, ma dotata di senso e viene inserita in una delle numerose categorie cognitive che, per noi, danno significato a ciò che accade. Un automobilista che non preme l’acceleratore al verde del semaforo è uno stupido. A meno che fattori che dapprima non riusciamo a individuare convertano il suo status in altro e conferiscano una diversa legittimazione alla sua condotta.
Afferma provocatoriamente Ricardo Moreno Castillo, nel suo Breve trattato sulla stupidità umana (Graphe.it Edizioni, Perugia): «È dunque appurato che, inevitabilmente, tutti nasciamo ignoranti, e per colpa della nostra ignoranza compiamo più stupidaggini di quelle che sarebbe necessario» (p. 15). Accusare qualcuno di stupidità a causa della nostra ignoranza è, dunque, a sua volta, stupido?
Naturalmente, come afferma lo scrittore Robert Musil nel suo Discorso sulla stupidità (Shakespeare and Kafka, Firenze, 1993), «occasionalmente noi tutti siamo stupidi; e dobbiamo occasionalmente anche agire da ciechi o semiciechi, altrimenti il mondo si fermerebbe; e se qualcuno volesse dedurre dai pericoli della stupidità la regola: “Astieniti dal giudizio e dalla decisione in tutto ciò di cui non comprendi abbastanza”, resteremmo inerti» (p. 54). Siamo tutti condannati, in sostanza, a compiere azioni stupide per ignoranza, non potendo fare a meno, nella vita di tutti i giorni, di giudicare e prendere decisioni.
Sono tante le ragioni per cui attribuiamo l’etichetta di “stupido” a chi compare sul palcoscenico della nostra vita. Per una visione completa avremmo bisogno di una prospettiva eminentemente sociologica. Sono attualmente impegnato nella scrittura di un articolo di sociologia della stupidità che spero possa conferire una nuova prospettiva a un tema solitamente appannaggio del giudizio del moralista.
La stupidità è molto più sapida di quanto sospettiamo.