Il calcio è wishful seeing

RizzoliBonucci1In un post  dello scorso anno,  scritto dopo le polemiche seguenti a Juventus-Roma (3-2), segnalai uno studio, ormai classico, degli psicologi Albert Hastorf e Hadley Cantril (They Saw a Game: A Case Study), da me tradotto, in cui i due esaminavano gli esiti di un incontro di football tra le squadre dei Dartmouth Indians e dei Princeton Tigers, avvenuto nel 1951, arrivando alla conclusione che “ogni spettatore costruisce la partita secondo modalità proprie che ne orientano percezione e valutazione. Non esistono due partite uguali. Ogni partita è un evento complesso che viene decodificato e interpretato da ogni spettatore. I tifosi di squadre avversarie semplicemente vedono due partite diverse”.

Questo fenomeno è definito in psicologia wishful seeing: in pratica la nostra percezione è condizionata dai nostri desideri (e quindi dal nostro tifo). Numerose indagini provano l’esistenza del wishful seeing. Nel 1947 Jerome Bruner e Cecile Goodman, autori di Value and Need As Organizing Factors in Perception, il cui testo potete trovare qui in inglese (ma mi riprometto di tradurlo),

scoprirono che mostrando a dei bambini una moneta e una rondella di cartone della stessa identica misura, i bambini dicevano sempre che la moneta era più grande. Il valore della moneta li influenzava nella percezione delle dimensioni dell’oggetto, e infatti le monete erano percepite come più grandi dai bambini di famiglie povere e un po’ meno dai bambini delle famiglie più abbienti. In uno studio più recente, alcuni psicologi della New York State University hanno chiesto agli studenti di stimare la distanza che li separava da una bottiglia d’acqua posata sul tavolo (prima, ad alcuni degli studenti erano stati serviti dei salatini per stimolare la loro sete). Gli studenti assetati hanno stimato di essere meno distanti dalla bottiglia rispetto agli altri. Un altro studio ha rivelato che le colline ci appaiono più ripide di quanto siano in realtà, e che questa tendenza si esaspera quando l’osservatore è anziano, ha problemi di salute o indossa uno zaino (Leslie, I., 2016, Bugiardi nati, Bollati Boringhieri, Torino, p. 131).

Alla luce di queste considerazioni, non deve sorprendere che, al cospetto di motivazioni, aspettative e desideri così intensi, come quelli che provano i tifosi, questi siano sempre convinti di avere ragione nelle proprie percezioni. È un dato umano. Infallibilmente disatteso. Ecco perché, se siete tifosi, vi invito a leggere questi classici della psicologia. Ne ricaverete certamente un insegnamento fondamentale e forse un motivo in più di rispetto nei confronti di chi vede il calcio in modo diverso da voi.

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