Offuscamento verbale

Nel 1990 lo psicologo Jonathan Schooler e la collega Tonya Engstler-Schooler introdussero nel vocabolario delle scienze psicologiche il concetto di verbal overshadowing (“messa in ombra/offuscamento verbale” in italiano). Il concetto fa riferimento a un fenomeno che capita a ognuno di noi, ma su cui raramente riflettiamo.

Immaginiamo di aver assistito a una scena o di essere stati testimoni di un avvenimento. Una delle scelte più naturali è condividere quanto appena visto con un amico, un conoscente, un parente o il coniuge. Ciò che è stato percepito viene, dunque, riferito a parole a un’altra persona. In questo tipo di situazioni, ci troviamo a trasferire ad altri informazioni che sono state originariamente codificate visivamente e che ora sono canalizzate verbalmente. Ebbene, ogni volta che verbalizziamo immagini (ma anche suoni o odori) corriamo il rischio di alterare o perdere alcune informazioni. Detto altrimenti, tradurre le immagini in parole rende meno affidabile il ricordo dello stimolo visivo. La descrizione verbale di una immagine si imprime nella memoria, condizionando il ricordo.

Un esempio classico di verbal overshadowing è fornito dal testimone che ha appena assistito a un crimine. Gli studi di Schooler dimostrano che la descrizione del volto del criminale può indurre una idea e, di conseguenza, un ricordo, alterati di quel volto. Questo perché le parole sembrano offrire una versione diversa dalle immagini della realtà e tale diversità può incidere sul recupero dell’informazione visiva. Parlare significa categorizzare, ritagliare, etichettare la realtà e ciò, inevitabilmente, finisce con l’offrirne un punto di vista tra tanti.

In uno degli esperimenti di Schooler e colleghi, alcuni soggetti furono esposti alla visione di una  videocassetta che mostrava un individuo in azione. Successivamente, alcuni soggetti descrissero il volto dell’individuo. I soggetti che avevano verbalizzato il viso fecero registrare prestazioni inferiori in un successivo test di riconoscimento rispetto ai soggetti di un gruppo di controllo che non erano stati coinvolti nella verbalizzazione del ricordo. Verbalizzare un ricordo visivo, dunque,  può generare una rappresentazione del ricordo verbalmente distorta che può interferire con l’applicazione del ricordo visivo originario.

Le parole – questa sembra essere la lezione di Schooler – non servono solo a comunicare e informare. Esse, nel momento in cui comunicano, “traducono” la realtà visiva e questa “traduzione” può avere effetti distorcenti sulla memoria.

Il  verbal overshadowing è l’ennesima dimostrazione del fatto che non solo comunicare è difficile, ma che quando si comunica si offre il destro per tradire il contenuto del messaggio nel ricordo.

Le parole non sono solo parole. Sono atti di creazione proditoria.

Fonti:

Schooler, J. W., Engstler-Schooler, T. Y, 1990, “Verbal Overshadowing of Visual Memories: Some Things Are Better left Unsaid”, Cognitive Psychology, vol. 22, n. 1, pp. 36-71.

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