L’implicito che persuade

Uno dei nostri più grandi errori è quello di pensare che i messaggi persuasivi agiscano coercitivamente su di noi, sovrastandoci in virtù di una forza a cui la nostra debole mente semplicemente non è in grado di resistere. Il paradigma di questo modo di pensare alla persuasione è l’ipnotista di maniera che, grazie a tecniche misteriose, riesce a imprimere alla nostra volontà la direzione che meglio gli aggrada. Niente di più sbagliato. La persuasione agisce in maniera sottile, strisciante e spesso con la nostra collaborazione, come dimostra il caso delle implicature. Come ricorda il linguista Edoardo Lombardi Vallauri, l’effetto persuasivo di un messaggio è spesso affidato al non detto piuttosto che al detto, a ciò che implicitamente lascia intendere la parola piuttosto che a ciò che riferisce esplicitamente. In questo senso, il messaggio, per essere efficace, non ha bisogno di essere ricevuto analiticamente, ma distrattamente:

Molte persone, quando gli si dice che sono influenzate dalla pubblicità, rispondono che su di loro essa non può avere effetto perché “neanche la guardano”. Infatti non la guardano; ma la vedono. Non possono fare a meno di vederla, almeno fugacemente e almeno senza guardarla con attenzione. Ebbene, il pubblicitario non si augura affatto che il suo lavoro sia guardato con attenzione, compreso nei dettagli, analizzato a fondo. Si augura precisamente il contrario, e sa che può contarci. […] Insomma, i messaggi sono confezionati proprio perché un destinatario distratto sia raggiunto e influenzato dall’essenziale, ma non arrivi ad accorgersi di ciò che non va. Proprio perché siamo distratti, siamo più influenzabili dalla pubblicità.

In questo regime di distrazione e di disimpegno nel fruire dei messaggi, per cui è difficile che ci mettiamo a controllare mentalmente l’effettiva attendibilità dei contenuti che ci raggiungono, sfruttare la nostra disponibilità a integrare informazione implicita funziona benissimo. Se messi (abilmente) sulla strada, siamo estremamente inclini a costruire da soli i significati che fanno il gioco del persuasore. Lo prova in maniera interessante e quasi paradossale un esperimento di cui riferiscono Wänke e Reutner (2010). A un campione di soggetti sperimentali veniva proposta una lozione per il corpo. Una parte di essi poteva scegliere fra la lozione semplice e quella riportante la dicitura “con recitina”. Ai restanti soggetti veniva offerto di scegliere la lozione semplice e quella riportante la dicitura “senza recitina”. Ebbene, i soggetti che potevano scegliere fra semplice e con recitina preferivano con recitina, mentre quelli che potevano scegliere fra semplice e senza recitina preferivano la lozione senza recitina. Il tutto senza sapere che cosa sia la recitina, per la buona ragione che la recitina… non esiste. Ciascuno aveva tratto l’implicatura favorevole al venditore (Lombardi Vallauri, E., 2019, La lingua disonesta. Contenuti impliciti e strategie di persuasione, Il Mulino, Bologna, pp. 55-56).

Nel regime di distrazione e di disimpegno in cui viviamo, siamo noi stessi a favorire l’effetto persuasivo dei messaggi, collaborando, per implicito, alla loro funzione. Nell’esempio riportato, il dominio concettuale di locuzioni che comprendono “con…” e “senza…” è talmente forte che spesso non ci chiediamo nemmeno che cosa sono le sostanze che il prodotto contiene o non contiene. Il mondo della pubblicità e della propaganda politica è zeppo di implicature come queste a cui aderiamo acriticamente facendo il gioco dell’emittente del messaggio. Basterebbe esplicitare il contenuto implicito per rendersi conto della sua assurdità. Ma non lo facciamo per inerzia, pigrizia, distrazione. E così i messaggi persuasivi hanno la meglio su di noi, imponendosi non con la forza di un gigante, ma con l’astuzia di un nano.

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