Le emozioni come trappole persuasive

Le emozioni, lo sappiamo, non sono solo uno straordinario canale di conoscenza del mondo, ma anche un facile veicolo di persuasione in ogni campo dell’esistenza umana: dalla politica alla pubblicità, dalla vita sentimentale a quella lavorativa. Al riguardo gli psicologi mettono in guardia dal cadere vittima di tre fallacie mentali particolarmente frequenti, seppure sottovalutate.

La prima è definita  fallacia  affettiva e consiste nel confondere la qualità di un testo (ciò che è) con gli effetti che esso produce sul lettore (ciò che fa). Segnalata in ambito estetico, questa fallacia porta a giudicare positivamente un testo letterario sulla base delle emozioni che esso smuove. In ambito pubblicitario o politico, la fallacia affettiva può indurre una distorsione nel giudizio del valore del testo pubblicitario o politico, in conseguenza del suo alto impatto emotivo. Un commento affetto da questa fallacia potrebbe essere: «Che discorso commovente. È senz’altro un discorso importante (o vero)». Troppo spesso giudichiamo della bontà di un messaggio in base alle emozioni che produce in noi, ma questo pensiero è fallace in quanto confonde un piano – quello, appunto, emotivo, – con un altro – il piano della verità e della razionalità 

Altra fallacia particolarmente vischiosa è quella soprannominata appello alle emozioni che consiste nell’appellarsi alle emozioni per decidere se un ragionamento è efficace o no. Questa fallacia è molto sfruttata in politica, pubblicità e anche nelle normali interazioni quotidiane. In politica, ad esempio, può funzionare così: «Lasciate stare le statistiche. Gli immigrati fanno paura e devono tornare a casa». In pubblicità, quasi tutti gli spot commerciali fanno appello alle emozioni piuttosto che spiegare quali sono le qualità del prodotto commercializzato. Le emozioni richiamate possono essere le più svariate: paura, invidia, odio, superbia.

Una variante di tale fallacia è l’argumentum ad modum, che è una forma di appello alle emozioni, consistente nel dare per certa la correttezza di un’argomentazione in base al fatto che essa è moderata. Esempio: «Quello che dici è vero perché è ragionevole». L’argomento è particolarmente efficace in quanto evoca l’antica massima, profondamente radicata e impressa in noi sin dall’infanzia, secondo cui ci vuole moderazione in tutte le cose. In realtà, in alcune circostanze, la moderazione può essere uno svantaggio e una posizione estrema un vantaggio. Ad esempio, una persona che grida e si lamenta continuamente può vedersi più facilmente soddisfare un bisogno di una che si mostra timida e moderata. Può essere vero anche il contrario. Urlare, sbraitare e inveire non significa necessariamente avere ragione, anche se, da parte di alcuni, tali comportamenti verbali estremi sono immediatamente percepiti come corrispondenti a qualcosa di vero. Sembra quasi che molte persone ragionino in questo modo: «Dal momento che si infervora tanto, deve esserci qualcosa di vero in quello che dice». Questo è vero, ad esempio, nel calcio quando un calciatore o un tifoso protestano veementemente per una decisione dell’arbitro.

Insomma, le emozioni possono essere sottili meccanismi di persuasione. Impariamo a riconoscerle anche da questo punto di vista.

Questa voce è stata pubblicata in psicologia, skepticism. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.