La fallacia della miopia biografica

Una delle argomentazioni più insistenti che mi capita di ascoltare da chi sostiene che il coronavirus sia poco più che un raffreddore è la seguente: “Mi sono ammalato di Covid, non ho avuto alcun sintomo/ho avuto pochi sintomi, sono guarito in pochi giorni, quindi il virus non è letale come dicono/non esiste/è una montatura”. L’argomentazione può essere riferita anche a coniugi, figli, fratelli, genitori, conoscenti, amici ecc. e assumere la seguente forma: “Mio cugino/un mio amico si è ammalato di covid…”. Un esempio clamoroso di tale orientamento è rappresentato da una dichiarazione di Andrea Bocelli nel corso di un intervento al Senato, nel luglio 2020, in cui l’artista pronunciò le seguenti parole: “Conosco tanta gente, ma non conosco nessuno che sia andato in terapia intensiva, quindi perché tanta gravità?”.

La fallacia di questa argomentazione è – o dovrebbe essere – evidente: il fatto che un virus/una patologia colpisca me (o mia moglie, il mio amico ecc.) in forma lieve o asintomatica non significa che altre persone non possano esserne colpite in maniera grave o mortale. Molte persone si ammalano di cancro e guariscono: ciò non impedisce che tante altre muoiano. Molte persone contraggono polmoniti e hanno infarti senza morirne. Ciò non toglie che in tanti muoiano per le stesse ragioni.

In altre parole, il fatto che la mia esperienza di una certa patologia sia di un certo tipo, non significa che tutti ne avranno esperienza allo stesso modo. Agisce, in questo caso, una sorta di miopia biografica o biocentrismo per cui la mia vita diviene il metro di misura di tutte le altre vite e assurge a norma universale di confronto.

Come rivelano gli studi di psicologia evolutiva, l’egocentrismo è una caratteristica cognitiva delle prime fasi di sviluppo dell’essere umano, ma non scompare mai del tutto, nemmeno in età matura. La tendenza a eleggere la propria esperienza a bussola di vita è fortissima e spesso inconsapevole. È per questo che la scienza si basa su campioni rappresentativi e significativi della popolazione per giungere alle proprie conclusioni. È per questo che un aneddoto (o più aneddoti), per quanto vivido e curioso, non può costituire base di conoscenza.

Eppure, nella vita di tutti i giorni, ci comportiamo come se ciò che accade a noi fosse sempre epistemicamente importante e tendiamo a opporre resistenza a chi ci fa notare che le cose non stanno in questi termini. È una tentazione “umana, troppo umana” contro cui la scienza fa i conti da secoli, ma a cui ci piace cedere leopardianamente: “E il naufragar ci è dolce in questa illusione”.

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