Distanza psicologica e indifferenza sociale

Perché determinati temi sono da noi trascurati e ritenuti poco importanti? Perché mostriamo scarso interesse per le vicende di alcuni gruppi sociali o categorie di individui? Perché condotte da molti considerate rilevanti sono per noi completamente indifferenti?

Secondo Yaacov Trope, dell’Università di New York, e Nira Iberman, dell’Università di Tel Aviv, in Israele, autori della cosiddetta construal level theory (“teoria del livello costruttivo”), il motivo sta nel fenomeno della cosiddetta distanza psicologica, costrutto che ha quattro dimensioni: la distanza spaziale (la cosa è rilevante solo per chi vive in altri luoghi), la distanza temporale (sarà significativa solo per il futuro oppure era significativa solo nel passato), la distanza sociale (riguarda persone diverse da noi), e la distanza ipotetica (non è detto che accada). Più dimensioni “incontra” un fenomeno più è probabile che esso non ci interessi.

Pensiamo alla questione dei cambiamenti climatici. Uno dei motivi per cui questo fenomeno non viene percepito come importante è che esso viene avvertito come “spazialmente distante” (riguarda solo determinate aree del pianeta), “temporalmente distante” (riguarda le generazioni future), “socialmente distante” (riguarda quei poveracci del sud del mondo), “ipoteticamente distante” (potrebbe non accadere affatto in futuro e comunque riguarda generazioni di persone che non vedremo mai).

Un discorso simile riguarda le sofferenze vissute da migranti e rifugiati nel mondo. Essi provengono da aree remote del mondo (distanza spaziale), in cui gli abitanti sono alle prese con problemi da tempo risolti nel nostro mondo, come la fame e le malattie (distanza temporale), socialmente, economicamente ed epidermicamente diversi da noi (distanza sociale), e che non è detto “incroceranno” le nostre vite (distanza ipotetica).

A volte la distanza psicologica riguarda alcune categorie di età. Il fenomeno dell’ageismo, ad esempio, e, in particolare, l’atteggiamento nei riguardi degli anziani, potrebbe avere come concausa anche il costrutto elaborato da Trope e Iberman. Per un giovane, infatti, l’anziano è “spazialmente distante” (frequenta, di solito, luoghi diversi dai giovani), “temporalmente distante” (data l’età), “socialmente distante” (l’anziano, in virtù della sua età, occupa spesso una posizione sociale e uno status molto diversi dal giovane) e “ipoteticamente distante” (molti giovani sostengono che la vecchiaia è una condizione talmente remota che non riescono nemmeno a immaginare di arrivarvi).

Infine, anche la disabilità potrebbe essere interessata dalla teoria di Trope e Iberman. I disabili sono spesso relegati in casa o occupano spazi diversi dai normodotati (distanza spaziale); sono socialmente distanti nel senso che, ad esempio, non occupano gli stessi impieghi dei normodotati; sono ipoteticamente distanti perché ai normodotati riesce difficile perfino concepire di poter diventare disabili, anche se la disabilità è qualcosa che potenzialmente potrebbe accadere a tutti noi.

L’unico modo per contrastare tali fenomeni di indifferenza, trascuratezza, disinteresse, è evidentemente quello di colmare o accorciare le quattro dimensioni di distanza, che impediscono che l’altro venga percepito come “uguale” a noi.

Un compito difficile, a cui da anni psicologi, sociologi, educatori stanno tentando di trovare una soluzione. Nel mondo di oggi, tuttavia, trovare modi di ridurre le distanze è più facile rispetto al passato; sentirsi in empatia con gli altri più agevole di un tempo. Basta solo farne un obiettivo primario della nostra esistenza. Un obiettivo che, in fondo, conviene a tutti raggiungere.

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