Retoriche del Rosario

Ogni argomentazione ha bisogno di essere sostenuta e legittimata, se aspira a essere convincente e a trovare consenso presso il proprio pubblico di riferimento. Una fonte di legittimazione particolarmente rilevante è l’autorità. È sufficiente che una determinata idea, pratica, modo di pensare trovi fondamento in un’autorità riconosciuta che, immediatamente, essa acquisisce prestigio e credibilità. Così, un prodotto commerciale acquisterà valore agli occhi del compratore perché pubblicizzato da un attore famoso. Un politico importante conferirà virtù a una proposta che avanzata da altri parrebbe ridicola. Il pensiero di un celebre scienziato renderà prezioso un suggerimento in ambito medico. Il giornalista che appare spesso in televisione sarà percepito come una fonte autorevole di informazioni.

In campo culturale e intellettuale, le idee di uno scrittore o filosofo “canonizzato” dalla tradizione saranno ascoltate con un’attenzione diversa da quelle di un perfetto sconosciuto.

Storicamente, l’ipse dixit ha sempre costituito una straordinaria fonte di legittimazione. Basti pensare che, un tempo, affermare: “Lo ha detto Aristotele” era sufficiente a dirimere una discussione in ambito filosofico. E naturalmente la Bibbia, il libro sacro per eccellenza, libro che i cristiani ritengono ispirato da Dio, è da sempre citata per dare sostegno a questa o quella posizione. La Bibbia non è un testo conchiuso e unitario, scritto da un unico autore in un unico tempo e in un unico luogo, bensì una raccolta di testi composti da autori diversi, in tempi e luoghi diversi e con finalità diverse. Ciò significa che, in essa, come in un immenso deposito culturale, è possibile trovare i più disparati argomenti a favore o contro un’idea, un tipo di condotta, un atteggiamento, una pratica ecc. Tutti, come detto, ritenuti ispirati da Dio.

Ad esempio, si possono trovare giudizi, massime, sentenze a favore del rispetto per i vecchi (Levitico 19, 32: «Alzati davanti a chi ha i capelli bianchi, onora la persona del vecchio e temi il tuo Dio. Io sono il Signore») e per i disabili (Levitico 19, 14: «Non disprezzerai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore»), della generosità (Deuteronomio 15, 11: «Poiché i bisognosi non mancheranno mai nel paese; perciò io ti do questo comandamento e ti dico: apri generosamente la tua mano al fratello povero e bisognoso che è nel tuo paese») e dell’autorità costituita (Matteo 22, 21: «Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio»). Ma anche a favore di idee o comportamenti ritenuti sconvenienti, immorali, pericolosi, indegni, bizzarri.

È possibile, così, imbattersi in chiare condanne dell’omosessualità (Levitico 20, 13: «Se uno ha rapporti con un uomo come con una donna, tutti e due hanno commesso un abominio; dovranno essere messi a morte; il loro sangue ricadrà su di loro»). Oppure, in argomenti per sostenere l’idea dell’inferiorità della donna rispetto all’uomo (1 Corinzi 11, 3: «Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio» e 1 Timoteo 2, 12: «Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo»). Oppure, ancora, in disapprovazioni della disabilità (Levitico 21, 18-20: «perché nessun uomo che abbia qualche deformità potrà accostarsi: né il cieco, né lo zoppo, né chi abbia il viso deforme per difetto o per eccesso, né chi abbia una frattura al piede o alla mano, né un gobbo, né un nano, né chi abbia una macchia nell’occhio o la scabbia o piaghe purulente o sia eunuco»).

Inoltre, è possibile rinvenire passi che giustificano il maltrattamento dei bambini a scopo educativo (Proverbi, 23, 13-14: «Non risparmiare la correzione al fanciullo, perché anche se lo batti con le verghe, non morirà, anzi, battendolo con la verga, salverai la sua anima dallo Sceòl»), la proibizione dei tatuaggi (Levitico 19, 28: «Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio. Io sono il Signore»), il nutrirsi di locuste e cavallette (Levitico 11, 22: «Perciò potrete mangiare i seguenti: ogni specie di cavalletta, ogni specie di locusta, ogni specie di acridi e ogni specie di grillo») o l’astenersi da certe carni per noi usuali (Deuteronomio 14, 7-8: «Ma non mangerete quelli che ruminano soltanto o che hanno soltanto l’unghia bipartita, divisa da una fessura e cioè il cammello, la lepre, l’ìrace, che ruminano ma non hanno l’unghia bipartita; considerateli immondi; anche il porco, che ha l’unghia bipartita ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri»).

Addirittura, è possibile rinvenire brani che, con qualche torsione, sono fatti passare per favorevoli alla pedofilia e all’aborto, come, rispettivamente, il celebre “Lasciate che i bambini vengano a me” pronunciata da Gesù in Marco 10:13-16 e Luca 18:15-17, ed Ecclesiaste 6, 3-6: «Se uno avesse cento figli e vivesse molti anni e molti fossero i suoi giorni, se egli non gode dei suoi beni e non ha neppure una tomba, allora io dico: meglio di lui l’aborto, perché questi viene invano e se ne va nella tenebra e il suo nome è coperto dalla tenebra. Non vide neppure il sole: non conobbe niente; eppure il suo riposo è maggiore di quello dell’altro. Se quello vivesse anche due volte mille anni, senza godere dei suoi beni, forse non dovranno andare tutt’e due nel medesimo luogo?».

Non sorprenderà, dunque, apprendere che i fautori e gli avversari del Rosario abbiano scovato nella Bibbia passi a favore delle loro rispettive posizioni.

I fautori, ad esempio, amano citare i seguenti due brani:

Luca 18, 1-8: «Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: «C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?»».

1 Tessalonicesi 5,16-18: «Siate sempre gioiosi; non cessate mai di pregare; in ogni cosa rendete grazie, perché questa è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi».

Pregare senza stancarsi, pregare incessantemente sono azioni interpretate come adeguate a legittimare il Rosario come preghiera voluta da Dio. Non a caso il Rosario si caratterizza per il suo ritmo incessante, ripetitivo, monotono, cantilenante, che sembra non avere mai fine. E non a caso l’interpretazione di 1 Tessalonicesi 5,16-18 è alla base delle avventure del protagonista de I racconti di un pellegrino russo, il quale, pungolato dal suo starec (monaco anziano scelto per essere guida spirituale), arriva a ripetere la cosiddetta “preghiera del cuore” («Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore») fino a 12.000 volte al giorno. Il Rosario, dunque, come pratica annunciata e voluta da Dio nel Nuovo Testamento, orazione santificata dalla tradizione millenaria della Bibbia.

Dall’altra parte, i detrattori del Rosario chiamano in causa due passi, presi, il primo, dall’Antico Testamento, il secondo dal Nuovo, a sostegno delle loro convinzioni.

Il passo veterotestamentario è il seguente:

Ecclesiaste 5, 1-2: «Non essere precipitoso con la bocca e il tuo cuore non si affretti a proferir parola davanti a Dio, perché Dio è in cielo e tu sei sulla terra; perciò, le tue parole siano parche, poiché dalle molte preoccupazioni vengono i sogni e dalle molte chiacchiere il discorso dello stolto».

Il brano del Nuovo Testamento è invece il seguente:

Matteo 6,7-8: «Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate».

In questi due brani, il Rosario è assimilato a un chiacchiericcio affrettato, a uno spreco di parole a scopo esibizionistico, a un inutile profluvio di vuote formule, a un biascichio esteriore, un ruminare senza cuore e senza fede, una verbosità stagnante che poco ha a che fare con la vera preghiera, che dovrebbe essere spontanea, sentita e provenire dal cuore. Fu su queste basi che Lutero attaccò il Rosario. Il monaco tedesco era convinto che esso fosse una “frode bella e buona”, uno squallido rituale, assimilabile a un’opera, per conseguire la salvezza con un artificio contabile, oltre che ignobilmente associata alle indulgenze che introducevano una forma di compravendita in faccende che avrebbero dovuto essere meramente spirituali.

Come è evidente, perfino il Rosario può trovare legittimazione o delegittimazione nella Bibbia, così come, in effetti, ogni pratica, condotta o tesi religiosa o no. Basta saper individuare il brano giusto, torcerlo un poco se necessario, e ciò che si desidera acquista valore o demerito. È un vecchio stratagemma adoperato da tempo e basato sul principio di autorità. Uno stratagemma che dimostra tuttora la sua efficacia.

Sebbene in un’epoca secolarizzata come la nostra la Bibbia abbia perso molta della sua autorità, non è raro imbattersi in chi si dice contrario, ad esempio, all’omosessualità o ai tatuaggi perché “lo dice la Bibbia”. Il libro sacro del cristianesimo conserva tuttora un suo prestigio autoriale. Contestato, ma niente affatto sminuito.

Sul tema del Rosario, come sempre, vi invito a leggere il mio La Sacra Corona. Storia, sociologia e psicologia del rosario (Meltemi Editore, Milano, 2024).

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