Non si striscia il badge!

Lavorando in una pubblica amministrazione, so che, come in qualsiasi contesto lavorativo, i dipendenti pubblici tendono a utilizzare un linguaggio proprio, quasi gergale, in cui compaiono termini come “faldone”, “decreto”, “circolare”, “stringa contabile” ecc. Questo linguaggio è talvolta incomprensibile ai non iniziati. Non a caso, diversi decenni fa, Italo Calvino descriveva il linguaggio burocratico come “antilingua”. Parte di questo vocabolario speciale è costituito, sempre più, da parole provenienti dalla lingua inglese.

Una di queste, forse la più usata, è sicuramente badge, se non altro perché il primo gesto compiuto dal dipendente pubblico (ma ciò vale anche per quello privato) al momento di fare il suo ingresso nel luogo di lavoro è “strisciare il badge”. Il badge è naturalmente quello che una volta si chiamava “cartellino marcatempo”. Il problema è che badge, in inglese, significa altro. Significa “distintivo”, “targhetta di riconoscimento”, “cartellino di identificazione”, “tesserino”, ma non “cartellino marcatempo”. Quello che in italiano chiamiamo badge in inglese si dice card o clocking-in card; timecard in americano. E “passare/strisciare il badge” si dice to swipe a card.

Sarebbe interessante fare uno studio sull’uso e sull’abuso della lingua inglese nella pubblica amministrazione. Per il momento, basterebbe che i dipendenti pubblici non usassero più la parola badge. Ma immagino che ormai l’uso sia talmente invalso da essere insostituibile. A meno che un decreto…

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3 risposte a Non si striscia il badge!

  1. Sugli studi sull’uso dell’inglese nella pubblica amministrazione ho solo dei dati un po’ vecchi che andrebbero completamente aggiornati. L’antilingua burocratica di Calvino, Alberto Sobrero la definì una lingua fatta di “arcaismo estremo e neologismo ardito” (Alberto Sobrero, “Lingue speciali”, in “Introduzione all’italiano contemporaneo”, Laterza, Bari-Roma 1993, vol 2 p. 261.), tradizionalmente è sempre stata poco aperta ai forestierismi. Però, nel GRADIT 1999 si trovano 13 anglicismi anche lì: antitrust, business (come aggettivo, per esempio utenza business), caregiver, complaint, e-government, full time, master agreement, naming e naming authority, offshoring e part time, part timer, utility. Dunque l’1% dei 1.397 lessemi burocratici annoverati nel dizionario, In realtà sono molti di più, ha notato Federica Casadei (da cui ho rubato questi conteggi), perché anche se le marche degli anglicismi riportano altri settori, spesso si tratta di termini largamente impiegati anche in quello burocratico: welfare e mission (marcati economia), manager (amministrazione aziendale), job sharing (diritto del lavoro), devolution (linguaggio politico e giornalistico); altri non sono marcati come specialistici e sono solo esotismi senza altre indicazioni, come city manager, governance, privacy, ticket. E poi card, policy, tutor, e altri ancora che vengono dalla finanza, dall’economia e dalle esigenze “di emanare disposizioni in ambiti specialistici le cui terminologie abbondano di anglicismi” (F. Casadei, A. Serra, G. Sommariva. Il lessico dell’italiano burocratico. Una ricognizione sul grande dizionario italiano dell’uso. Studi di linguistica, letteratura e filologia, Edizioni Sette Città, Viterbo 2015,).
    Fatti i conti, il loro numero sembrerebbe almeno il doppio di quello che emerge dal GRADIT 99, le cui marche risultano insufficienti per inquadrare la penetrazione delle parole inglesi su base statistica. Non conosco i dati del GRADIT 2007, ma dal 1999 a oggi la mia impressione è che tutto si sia ulterriormente arricchito di inglese.

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